Le recenti vicende dell'Imperia Calcio, "contesa" ( si fa per dire) tra due gruppi, uno emiliano e uno romano, riportano in primo piano una questione che si ripropone da anni: il distacco della classe imprenditoriale imperiese dalle vicende cittadine, non solo sportive, ma anche sociali e culturali.
Possibile che nessun imprenditore locale sia interessato a investire nel principale club calcistico della città? O più in generale, che non si senta il bisogno di contribuire attivamente alla crescita del territorio? Il calcio, certo, è solo un esempio, ma rappresenta un indicatore significativo di una tendenza più ampia.
In molte realtà italiane, anche città di dimensioni simili a Imperia, il tessuto imprenditoriale è parte attiva nello sviluppo locale. Lo sport, la cultura e il sociale sono ambiti in cui le aziende locali investono con convinzione, non solo per un ritorno economico, ma per rafforzare il legame con la comunità e dare un contributo concreto al benessere collettivo.
A Imperia, invece, si assiste a un fenomeno opposto: il disinteresse. Eppure, il potenziale c'è. La città e il suo club hanno una storia che nasce lo stesso giorno, un'identità, un tessuto economico che, seppur con difficoltà, resiste. Mancano però la volontà e la visione.
Il caso dell'Imperia Calcio è emblematico: possibile che un club storico debba essere oggetto di interesse da parte di gruppi esterni mentre gli imprenditori locali restano a guardare? Questo atteggiamento passivo non riguarda solo il calcio, ma si estende ad altri settori: dalla cultura agli eventi, fino dal sociale.
Serve un cambio di mentalità. Serve che la classe imprenditoriale imperiese torni a sentirsi parte attiva della città. Il futuro di Imperia non può essere deciso altrove. È arrivato il momento di battere un colpo.