Due storie esemplari di dolore e giustizia. L’incontro “A testa alta contro le mafie, in memoria di Dodò”, organizzato dall’associazione Libera, ha dato voce a testimoni e protagonisti diretti della lotta alle mafie. Un evento dedicato al ricordo di Dodò, Domenico Gabriele, ucciso nel 2009, all’età di undici anni, durante un agguato di mafia mentre giocava a calcetto.
“Sono passati quindici anni, ma continuiamo a raccontare la sua storia in tutta Italia, per continuare a far vivere Dodò", dicono il padre Giovanni Gabriele e la madre Francesca Anastasio. E infatti Dodò rivive ogni giorno, i suoi genitori, come un monito, raccontano il loro dolore nelle scuole: “Questa storia graffia le coscienze, i ragazzi vengono profondamente toccati è un buon segnale. Dal male può nascere il bene”.
Rocco Mangiardi, imprenditore di Lamezia Terme, si rifiutò di pagare il pizzo e grazie alla sua testimonianza si è arrivati alla condanna del boss Pasquale Giampà. “Ho denunciato perché è l’unica cosa che deve fare una persona per bene e onesta”, sottolinea Mangiardi. "Bisogna denunciare anche solo per il senso di libertà. Nell’aula di un tribunale, il dito puntato di noi vittime, è molto più potente delle loro pistole".
“Le infiltrazioni mafiose sono diramate in tutta Italia. In Calabria le cose stanno cambiando, non c’è giorno che non ci sia un’operazione di polizia o una confisca, ma queste persone hanno soldi e non potendo investire da noi lo fanno nel resto d’Italia”.
Educare alla legalità, è un tassello imprescindibile della lotta alla mafia, ma la consapevolezza deve essere anche politica: “La migliore arma è informare i giovani e informare le amministrazioni".