Lo scorso 14 maggio il Segretario di Stato americano Antony Blinken, dopo aver incontrato il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che non si aspettava la sua visita, ha pensato bene di farsi un giretto serale in un pub di Kiev e, tra una bevuta e l'altra, imbracciata una chitarra elettrica, si è esibito cantando il brano di Neil Young "Rockin' in the free world".
Una sorta di canzone della libertà che l'Americano ha dedicato ai combattenti ucraini, palesemente in affanno nel cercare di contrastare l'offensiva dei Russi, che sembra poter ottenere quei risultati che Putin cerca da tempo.
A voler fare una battuta facile e superficiale, si potrebbe ricordare quel detto “canta che ti passa”, ma in realtà la situazione per Kiev è grave, perché il fronte a sud est potrebbe cedere sotto la pressione delle truppe di Mosca, che danno la netta impressione di non soffrire assolutamente di carenze di uomini, armamenti e munizioni.
Indubbiamente, dopo più di due anni di guerra, si può affermare che in questa campagna militare la Russia ha trovato difficoltà che, molto probabilmente, non aveva preventivato, ma è altrettanto vero che ha saputo comunque fronteggiare tutti i problemi che ha incontrato. Ha fatto ricorso alle proprie immense risorse interne, soprattutto per quanto riguarda la disponibilità di uomini. Ma ha anche goduto di un determinante supporto estero diretto, in termini di rifornimenti militari, in particolare da parte di Iran e Nord Corea e di un fondamentale sostegno indiretto, in termini di risorse finanziarie, dovuto alle partnership commerciali che in tutto questo periodo non le sono mancate, sopperendo a quelle perdute con l'Occidente.
Tutti aspetti che, colpevolmente, il mondo occidentale non ha saputo prevedere, compiendo quindi un enorme errore di valutazione, che ci sta portando ad una situazione che, giorno dopo giorno, si sta facendo sempre più difficile e rischiosa, a causa di una posizione di assoluta intransigenza che gli Stati Uniti, con al seguito un'Europa servile, hanno voluto mantenere, raccontandosi e raccontandoci che la Russia sarebbe finita in una catastrofe economico-finanziaria, che avrebbe ingoiato anche Putin.
Come non ricordare le affermazioni di colui che viene considerato uno dei migliori statisti di questo momento storico, nonché il massimo guru europeo come economista. Mario Draghi, già a settembre 2022, insieme alla Segretaria al Tesoro americano Janet Yellen, metteva a punto sanzioni su sanzioni che, secondo lui, avrebbero garantito il default russo nel giro di poco tempo. Come non ricordare la sprezzante risposta “Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?”, data ad un giornalista che gli prospettava i sacrifici che la sanzione sull'embargo del gas avrebbe comportato per il comune Cittadino.
A distanza di due anni, il condizionatore fa sempre più fatica ad accendersi, della pace nemmeno l'ombra, la Russia è in procinto di sfondare le linee ucraine e Putin, dopo aver rivinto le elezioni, sta concludendo una proficua visita a Xi Jinping, che gli ha confermato l'alleanza strategica della Cina. In compenso, l'unica cosa che non è cambiata è la fama di Mario Draghi che, impunemente, viene sempre considerato uno dei salvatori dell'Europa.
Siamo quindi in una situazione veramente difficile, in cui le sanzioni economiche contro Mosca hanno fallito e debilitato le economie europee e gli aiuti militari all'Ucraina si sono rivelati insufficienti, anche perché Kiev sta patendo fortemente l'unico problema a cui può mettere mano solo lei, cioè la disponibilità di uomini da mandare la fronte.
E su questo aspetto nascono i rischi maggiori, anche perché questo problema di fondamentale importanza deve essere tenuto in debita considerazione anche dai Governi occidentali, alleati di Zelensky. Gli stessi Governi che, pur rifornendolo di armi e munizioni, gli hanno imposto la clausola di non impiegarle sul territorio russo. Una condizione cervellotica, al limite del ridicolo, se si considera che la guerra, soprattutto se fatta per difendersi da un'aggressione, una Nazione la deve combattere su tutti i fronti, anche attaccando l'avversario nelle sue linee di rifornimento. Invece a kiev questo non è concesso di farlo con quegli armamenti occidentali che, tra l'altro, sono le sue migliori risorse belliche. Lo ha nuovamente ribadito pochi giorni fa il nostro Ministro degli esteri Taiani, affermando “Le nostre armi non in Russia”.
Perché questo? Per il terrore occidentale, ma soprattutto europeo, della temutissima escalation. Infatti, molto probabilmente i nostri governanti ritengono che un soldato russo colpito in Russia da colpo di artiglieria italiano ha una valenza diversa da un soldato russo colpito in Ucraina. Una valutazione un po' bizantina che sa tanto di nascondiglio dietro ad un dito e che, per uno come Putin, non proprio l'ultimo arrivato in politica internazionale, ha valenza zero.
Tuttavia, anche questo potrebbe essere spazzato via dal vero problema ucraino, la mancanza di combattenti. Come poteva essere previsto, Kiev non dispone delle stesse risorse umane di Mosca in termini numerici ma, soprattutto, non ha lo stesso potere di richiamarle. E qui comincia il vero rischio più globale.
Nelle settimane scorse ha cominciato il Premier francese Macron a parlare dell'eventualità di un invio di soldati in Ucraina, in caso di sfondamento delle linee del fronte da parte dei russi. Immediato è stato il dissenso espresso da alcuni governi europei, tra cui l'Italia, che continua a ribadire che mai un nostro soldato calpesterà il suolo ucraino.
Sin qui possiamo dire che é un problema relativo. Infatti, la Francia è un Nazione libera e può decidere in autonomia come impiegare (e far morire) i propri soldati, così come l'Italia può (e deve) esprimere il suo dissenso come governo nazionale.
Il problema vero potrebbe invece essere sorto nelle ultime ore, perché non è più uno Stato autonomo a parlare dell'ipotesi di invio, ma è la NATO che sembra stia valutando tale opzione. Come sappiamo, la NATO è l'unica Alleanza politico-militare esistente al mondo, capace di assumere decisioni politiche e di tradurle in operazioni militari, quindi un'organizzazione molto potente, in grado di coinvolgere praticamente tutte le risorse, non solo militari, di 32 Nazioni, compresi gli Stati Uniti.
Sinora, le richieste di Zelensky di poter contare su un invio di truppe occidentali, è sempre stato respinto, sia dall'Alleanza che dai singoli Stati, però lo scorso 16 maggio, il Capo del Joint Chiefs of Staff USA Charles Q. Brown, uno dei massimi Vertici americani della Difesa, ha affermato che “con il tempo, alla fine ci arriveremo”, facendo riferimento all'ipotesi di inviare degli addestratori della NATO in Ucraina, per formare direttamente sul posto 150.000 nuove reclute. Gli ha fatto eco il Generale americano Christopher Cavoli, Comandante delle Forze NATO in Europa, il quale non ha escluso l'ipotesi, ma ha cercato di addolcire la pillola dichiarando, in maniera un po' generica, che i Russi “Non hanno i numeri per ottenere successi strategici lungo il fronte”. Una frase buttata li che vuol dire tutto e niente, perché il livello strategico in ambito NATO ha un significato ben preciso e, sotto il profilo meramente territoriale, non si limita solo all'area in cui si sta ora combattendo. Cosa intendeva dire il Gen. Cavoli? Che i Russi non hanno la potenzialità di arrivare a Berlino o oltre? Oppure è stata una frase fumosa ad uso giornalistico?
Purtroppo per questa situazione malefica in cui rischiamo di cacciarci, nell'ambito della politica internazionale e della diplomazia, il detto “una rondine non fa primavera” non vale perché, normalmente, le parole ed i concetti che si esprimono sono sempre misurati con il bilancino ed hanno il loro bravo significato.
Quindi, se altissimi vertici militari americani non escludono che, prima o poi, l'invio di addestratori possa realizzarsi, c'è da essere sicuri che qualcosa in pentola sta bollendo e potrebbe non essere un qualcosa di facilmente digeribile.
Ovviamente, la reazione russa a tali dichiarazioni non si è fatta attendere, ribadendo a gran voce quanto già espresso in passato e cioé che i soldati occidentali o peggio NATO presenti ed attivi in Ucraina, anche solo come addestratori, sarebbe considerati “obiettivi legittimi”. Una posizione che non fa una grinza, perché tali soldati verrebbero considerati come risorse del nemico e quindi attaccabili.
Proviamo per un attimo a giocare a Risiko e proviamo ad immaginare che un missile russo colpisca una base addestrativa Ucraina (non importa se molto ad ovest), uccidendo soldati NATO americani, francesi, inglesi, canadesi, ecc. ecc.. Si potrebbe andare a finire su un piano inclinato verso conseguenze difficilmente definibili.
Torniamo alla realtà. La NATO, pur se palesemente sotto egemonia USA; è comunque un'Organizzazione governata da uno Statuto, che prevede clausole di salvaguardia decisionale anche per i Paesi membri più piccoli e meno influenti in ambito internazionale.
Una di queste, probabilmente la più importante, è quella che ogni decisione dell'Alleanza deve essere presa all'unanimità. Pertanto, qualora gli Stati Uniti pensassero seriamente all'ipotesi di un invio di truppe di terra della NATO in Ucraina, qualsiasi altra Nazione delle 32, compresa l'Italia, si può opporre. Il problema, probabilmente, sta nel fatto che non basta avere la volontà di farlo, ma necessita anche e soprattutto la forza politica di contrapporsi agli Americani. Speriamo di non dover arrivare al punto di appurare se il nostro Governo questa forza l'avrebbe oppure no.