Per chi come noi ha partecipato alla costruzione del percorso sull’acqua pubblica, in un paese che da alcuni decenni ha vissuto diverse ondate di privatizzazione dei servizi pubblici locali, sollecitate dalle sponde opposte della politica, può ben dire che sono state, poche, poche, poche le persone che si sono schierate a favore dell’acqua quale bene comune essenziale alla vita e come tale fuori dalle logiche del mercato e del profitto.
Perché non basta aver vinto i Referendum del 2011 ed essere stati fra i 27 milioni di persone che hanno votato contro la privatizzazione dell’acqua. Non basta prendere posizioni di tanto in tanto o evocare dichiarazioni di principio in campagna elettorale. Bisogna custodire quell’esito e costruire quotidianamente le condizioni politiche e amministrative per rendere realizzabile la gestione pubblica del servizio idrico.
La privatizzazione di Rivieracqua è stata preparata scientemente e con cinica programmazione nel corso degli ultimi anni: dai continui ricorsi, alle istanze di fallimento, fino alla nomina del Commissario Scajola. Prova ne è che nonostante sia stato completato il conferimento delle gestioni decadute, consentendo a Rivieracqua di iniziare a chiudere bilanci in positivo, anziché avviare un piano sostenibile di risanamento finanziario e giungere alla fine del commissariamento dell’Ato idrico, viene dato avvio alla gara per l’ingresso del privato.
Una scelta scellerata voluta dal Commissario Scajola e avvallata dai sindaci, perseguita con una frenetica programmazione i cui dettagli sono tenuti oscuri, che di certo apriranno a scenari di possibili ricorsi.
La follia delle bollette pazze, soprattutto per gli aspetti di retroattività, è solo l’ultimo atto di uno spettacolo indecoroso. Nel tentativo di mettere in difficoltà ancora una volta Rivieracqua, in vista della nuova gestione pubblico/privata, si legge la sfrontatezza di una decisione che non può non avere tenuto conto delle conseguenze che sono ricadute sugli utenti incolpevoli.
Che ci fosse qualcosa che non andava nelle tariffe idriche imperiesi lo si è compreso per esempio quando sono emersi gli esborsi inspiegabili negli accordi con cui Amat (allora ancora partecipata dal comune di Imperia) vendeva da anni l’acqua al dianese a costi stratosferici, traendone ricavi esorbitanti.
Se negli anni sono tardati interventi, adeguamenti tariffari, perpetrati sprechi per le perdite nelle reti o applicati costi del servizio a dir poco generosi, non è certo dovuto agli utenti, ma a tutti quei comportamenti cercati e voluti, a cominciare dall’indolenza e responsabilità dei Sindaci e degli amministratori, che hanno impedito a Rivieracqua e alla gestione del servizio pubblico di operare compiutamente.
Per ogni anno trascorso senza tariffa unica i ricavi di gestione non sono stati sufficienti a pareggiare i costi e senza copertura da parte dei comuni responsabili, Rivieracqua ha conseguito, anche in ragione di ciò, risultati negativi.
Non devono pagare gli utenti per l’inefficienza dei propri amministratori. L’unica soluzione moralmente equa, almeno per i periodi di retroattività delle tariffe, è che siano i comuni a farsi carico di quegli oneri, nella forma di bonus generalizzato a tutte e tutti gli utenti.
Fra le diverse soluzioni tecniche doverose che si rincorrono in una situazione che a mano a mano sta esplodendo sempre più, da Ventimiglia al capoluogo, spaventa l’assordante silenzio di una risposta politica, adeguata alle esigenze di un territorio in difficoltà e in fibrillazione.
Non resteremo inermi al funerale dell’acqua pubblica che Scajola e i sindaci stanno preparando, continuando a difendere un bene comune della comunità, perchè vita e territori valgono più del profitto, una lotta trasversale, senza etichette, che riguarda tutte e tutti perché rivendica il diritto all’esistenza.