Se c’è un tempo della vita che non va mai sprecato, è quello in cui parliamo ai giovani. Sono semi che gettiamo perché il futuro sia più bello e rigoglioso. A questo fine bisogna piantare i Valori, radici salde e rami alti che guardino al cielo. Maurizio de Giovanni è un grande autore del nostro tempo. La sua Napoli del Commissario Ricciardi, dei Bastardi di Pizzofalcone e di Mina Settembre, romanzi divenuti serie televisive di enorme successo, è riscatto dal crimine e slancio verso una società più umana e più giusta. Non potevamo che affidare a lui un lavoro sulla legalità dedicato alle nuove generazioni, che toccasse i temi su cui si gioca la loro partita. Ci accompagnano in questo viaggio le pregevoli illustrazioni di Marco Lodola, artista pop affermato nel mondo, esponente del Nuovo Futurismo che di recente ha “arredato” con le sue sculture luminose le facciate e le vetrine di prestigiose boutique a Roma, New York, Parigi, Singapore, e poi le Gallerie Lafayette di Doha in occasione dei mondiali di calcio nel Qatar. È molto bella l’idea di un maresciallo che, con brevi e incisive lettere, racconta al figlio il suo lavoro e la sua anima da carabiniere. La moglie è mancata ma lui e il ragazzo sono rimasti una famiglia, “lo sono forse anche di più”. Così il padre decide di trasmettere ciò che ha appreso dalla sua esperienza, con parole semplici e tese a squarciare il velo di incomunicabilità che a volte separa i figli dai genitori. Lo fa con un amore che non si vergogna di manifestare, perché bisogna sempre dire ti voglio bene, “meglio una volta in più che una in meno”. Ammonisce il giovane a guardarsi dalla droga, che fa diventare “vigliacchi, bugiardi, codardi, ingannevoli”. Che fa “andare via, in un inferno profondo” dal quale “non si torna più”. Lo esorta a trattare la città come se fosse casa sua, a star lontano dai “branchi”, a bandire qualunque forma di bullismo, a rispettare le donne. Gli ricorda che chi ha ragione “non ha mai bisogno di urlare”. È un testamento morale da conservare nella vita, che farà crescere entrambi. Ma la storia di una piccola famiglia acquista, attraverso i toccanti insegnamenti di un maresciallo, una valenza universale. Esprime i sentimenti e l’impegno che ogni buon carabiniere, ogni buon cittadino deve avere verso il suo prossimo. Se tutti educhiamo i figli al rispetto dell’altro, la partita del futuro è già vinta. All’orizzonte ci sono sfide importanti: salvaguardare il pianeta, conservare la pace, gestire al meglio l’intelligenza artificiale scongiurando i rischi per una democrazia conquistata a fatica nel corso dei secoli. In queste pagine, che spero saranno apprezzate, c’è un’idea su come affrontarle. Ancora una volta il Calendario Storico dell’Arma dei Carabinieri valorizza le arti, che nel Bel Paese sono di casa, senza dimenticare il loro valore educativo. Ancora una volta è la nostra occasione per augurare a tutti i lettori un nuovo anno ricco di gioia e serenità. IL COMANDANTE GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI GENERALE DI CORPO D’ARMATA TEO LUZI ----------------- O1 - GENNAIO ----------------- UNA FAMIGLIA SILENZIOSA Il Maresciallo Comandante di Stazione e suo figlio facevano colazione, in silenzio. Il ragazzo aveva sedici anni, i capelli lunghi e una data sul polso. L’uomo sapeva a cosa si riferiva. Ricordava l’ospedale, il sangue, le lacrime. C’era bisogno di tatuarsi quel numero? Uova, latte, biscotti, spremuta. Il ragazzo spazzolava a occhi bassi. L’uomo si limitò al caffè. Tra poco sarà un anno e ancora non parliamo. Lui e il ragazzo erano simili. Lei ne rideva, due muti. C’è silenzio e silenzio, le direbbe ora. Ci sono silenzi pieni di emozioni. Questo invece è un muro altissimo. Io non so di lui, lui di me. Il mio mestiere. Magari pensa che mi allontani, che mi renda insensibile. Il ragazzo finì di mangiare. L’uomo gli chiese della scuola, tutto bene papà. Sapeva dei voti buoni, non perdeva un colloquio. Ma il resto? Gli amici, le ragazze? Che sogni hai? Lo so che ti manca, ma siamo ancora una famiglia. La porta si chiuse, i passi sulle scale. Il maresciallo si alzò, prese giacca e cappello. Devo trovare il modo. Devo parlare con lui. IL FILO CHE CI UNISCE Se stai leggendo, vuol dire che hai trovato questa lettera. E vuol dire che anche tu, come me, vai ogni tanto quando nessuno ti vede a sfogliare l’album delle foto di quando eravamo in tre, ed eravamo felici. L’ho messa qui, tra le pagine con le veline, sorridendo al pensiero di lei che metteva le immagini stampate, così anacronistiche a pensarci adesso, in ordine rigorosamente cronologico, noi due fidanzati in gita, il matrimonio, tu che arrivi a completare la nostra esistenza. Se vorrai farmi sapere che hai trovato questo foglietto e che l’hai letto, ti prego prendilo. Io capirò, non trovandolo, e ti scriverò ancora. Strano, così. Abbiamo le nostre occasioni per parlare, la colazione, la cena, quel po’ di televisione la sera. Ma lo sai come lo so io, certe cose se non vengono naturali è meglio evitare. Non so cos’è, imbarazzo, incapacità; forse solo questo carattere chiuso che purtroppo condividiamo, e che ci impedisce di parlare come dovremmo. Ma siccome di cose da dirti ne ho, e tante, faccio questo tentativo. Se vorrai tenere queste parole, e aiutarmi così a tenere vivo il filo che ci unisce e che ci unirà per sempre, allora non dovrai parlarmene se non ti va. Prendi solo questa lettera, e così capirò che posso scriverne un’altra, e un’altra ancora: raccontandoti qualcosa di chi è tuo padre, di come vive e del mestiere che fa. Magari scoprirai che siamo meno lontani di come sembriamo. Che le cose che faccio riguardano anche ragazzi come te, e che i nostri mondi non sono separati, anzi che sono esattamente lo stesso pianeta, e che dobbiamo solo capire in che verso gira. A presto, figlio mio. Ti voglio bene. ----------------- 02 - FEBBRAIO ----------------- IL BRANCO Magari lo hai visto cento volte, ma non te lo ricordi. Quelli come lui sono così, sotto gli occhi di tutti eppure invisibili. Dorme in diversi punti della città, al riparo della pioggia e del vento; conosce le rientranze dei portoni, i portici, le entrate di servizio dei centri commerciali. E di giorno fa il giro di quelli che gli danno qualcosa da mangiare e soprattutto da bere, commessi e commercianti gli vogliono bene, ha una risata sgangherata e contagiosa che mette di buonumore. Ieri hanno provato a dargli fuoco. Non ci sono riusciti, non del tutto: ha ustioni di primo e secondo grado sul settanta per cento del corpo, i dottori dicono che potrebbe anche farcela ma ora come ora gli sembra difficile. Non ha mai fatto niente di male a nessuno. A nessuno. Pensavano di farla franca, ma c’era una telecamera di sorveglianza di un appartamento privato, una signora anziana che ha subito un tentativo di furto qualche anno fa. Non si vede dalla strada, e ha ripreso tutto. Cinque ragazzi, più giovani di te, leggerai i nomi quando la storia verrà fuori, magari li conosci anche se spero di no. La cosa che mi agghiaccia è che presi singolarmente sono assolutamente normali, anzi, apparentemente perfetti. Studenti coscienziosi e di buon profitto, condotta esemplare, seguiti dai genitori, le miglio ri scuole. Niente degrado, niente abbandono sociale, niente malavita. Nessun cattivo esempio. Poi però insieme diventano una specie di bestia mostruosa; stiamo approfondendo e sta venendo fuori di tutto, non è la prima volta che fanno qualcosa del genere, se la prendono con immigrati, con ragazze che incontrano da sole, con auto in sosta e vetrine. Il branco, insomma. Quello vero, anche se gli animali sono assai migliori. Cerca di ricordarlo: con gli altri si può diventare qualcosa di assai diverso da se stessi. Qualcosa di terribile. Ti voglio bene. ----------------- 03 - MARZO ----------------- PRIGIONIERI DI UNA STANZA Stamattina ti ho sorpreso, lo so. L’ho visto dalla tua faccia. Stavi preparando la borsa per il calcetto, essendo giovedì, e io ti ho stretto la spalla, una specie di ruvida carezza. Ti sei voltato e mi hai guardato con curiosità. Mi hai chiesto: tutto bene, papà? E io sì, certo. Ma non ti ho convinto, lo so. Quindi ti spiego qui, come sai mi è più facile. Ieri mi sono accorto che il collega Gargiulo era abbastanza giù di corda. Ci conosciamo bene, lo sai, siamo dello stesso corso e siamo anche amici. È un carabiniere bravo e coscienzioso, un uomo affidabile e una brava persona. Ho aspettato una pausa e gli ho chiesto cosa avesse che non va. Mi ha raccontato tutto. Inizialmente era un po’ in imbarazzo, poi si è aperto e sembrava un fiume in piena. Forse ricorderai che ha tre figli, due più grandi di te e uno piccolo, dodici anni, che ha sempre chiamato sorridendo “l’incidente di percorso”, al quale è legatissimo forse proprio perché è arrivato quando non se lo aspettava più, Be’, questo ragazzo di fatto non esce più dalla sua stanza. La moglie e lui, Gargiulo, ci hanno provato in tutti i modi, con le buone, con le cattive, rivolgendosi a un medico, poi a un assistente sociale, infine a uno psicologo. Hanno chiamato gli amici (quelli di prima, perché ovviamente adesso il ragazzo non frequenta più nessuno), gli insegnanti, perfino l’istruttore di quando giocava a tennis. Niente da fare. L’unica cosa che hanno ottenuto è il nome di questa sindrome, Hikikomori, che in giapponese (dove il fenomeno è più diffuso) significa “chiudersi dentro”. Hanno provato a togliergli il computer, attraverso il quale è collegato ventiquattr’ore al giorno, ma lui smette di nutrirsi. È diventato una larva. Sta sui social, come se fosse quello il mondo reale. Alla fine del racconto, Gargiulo piangeva. E allora quando ho visto che ti preparavi per il calcetto, pieno di vita, di amici e di voglia di aria aperta, sono stato semplicemente felice. Ti voglio bene. ----------------- 04 - APRILE ----------------- LA SCELTA GIUSTA Hai sentito dell’incidente dell’altra notte, anzi, per essere precisi dell’altra mattina perché erano le tre. Un’auto uscita di strada, apparentemente senza motivo, un uomo alla guida, un panettiere che andava al lavoro. Si pensava a un malore, un colpo di sonno, qualcosa del genere perché non c’erano ostacoli e l’auto era in perfette condizioni. Lui, lo saprai, è in coma farmacologico all’ospedale, speriamo se la cavi, moglie e tre bambini, sarebbe una tragedia. Ero tra quelli del primo sopralluogo, c’era qualche curioso a guardare, in quel punto niente telecamere. Mi sono accorto di una ragazza, bionda, sostenuta da un ragazzo coi capelli a treccine. Aveva gli occhi sgranati. Quando l’ho cercata per chiedere se avesse visto qualcosa, non c’era più. È venuta stamattina in caserma. Era ancora col ragazzo con le treccine, ma lui stava un passo indietro. Mi ha detto che voleva rilasciare una dichiarazione, io le ho chiesto che tipo di dichiarazione, lei ha detto: sull’incidente di ieri notte. Mi ha raccontato che aveva litigato col suo ragazzo, che era quello con le treccine. Che aveva bevuto un po’, non molto, ma che principalmente era triste per il litigio, si erano lasciati, mi ha spiegato, e stava piangendo. Forse per le lacrime, forse per la tristezza, forse per la birra ha attraversato di corsa senza aspettare il verde. E ha sentito i freni e il botto. Il ragazzo allora ha detto che le è corso dietro, ma che non ha fatto in tempo. E che adesso nessuno dei due riusciva a togliersi dagli occhi l’ambulanza che portava via il panettiere. Le regole a volte sembrano una gabbia, lo so. Una limitazione intollerabile delle libertà anche minime, come attraversare la strada. Adesso però qualcuno dovrebbe spiegarlo alla moglie e ai tre bambini del panettiere. Ti voglio bene. ----------------- 05 - MAGGIO ----------------- PAROLE COME COLTELLI Ieri è venuta in caserma la signora Maria, sai, la salumiera dove andiamo a fare la spesa. Se ne stava in silenzio nella sala d’aspetto, con la borsa stretta nelle mani e lo sguardo nel vuoto. Il carabiniere di servizio alla caserma le aveva chiesto un paio di volte che cosa volesse, ma lei aveva risposto che doveva dirmi una cosa. Personale. L’ho fatta entrare nel mio ufficio, ma non diceva niente. Era pallida. Poi ha preso un telefonino dalla borsa, lo ha sbloccato e me lo ha passato. Non era suo, ma del figlio, lo conosci, quel ragazzino che è sempre nel negozio a fare i compiti. Molto educato, tranquillo. Tu non hai idea di quello che gli scrivono i compagni di classe. Lo sai, è un ragazzo molto sovrappeso, la madre mi ha detto che ha un carattere chiuso, che non reagisce, ma si chiude in camera e piange. Piange sempre. I ragazzi riescono a essere cattivi, sai? Molto. In quei messaggi, man mano che scorrevo, ho trovato cose terribili. Violenza, disgusto, perfino rabbia, come se essere grassi fosse una colpa, come se fosse un delitto. Perché non muori, gli dicevano. Perché non ti ammazzi, sei brutto, fai schifo, sei inutile. Maschi e femmine, a detta della madre tutti compagni di classe. Mi ha detto che non voleva denunciare nessuno, che non voleva fare ancora di più terra bruciata attorno al ragazzo; ma che neanche se la sentiva più di stare ferma a guardare, perché, mi ha chiesto, come mi sentirei se lui facesse qualcosa di terribile e io non avessi fatto niente? L’ho tranquillizzata. Andrò a titolo personale dal dirigente scolastico, farò presente la questione, lui magari troverà un modo; magari gli cambierà classe, o parlerà coi genitori. Però credimi, questo mondo a volte fa paura. I ragazzi, almeno voi, dovreste essere migliori. No? Ti voglio bene. ----------------- 06 - GIUGNO ----------------- RISPETTO, SEGNO D’AMORE Non parliamo mai di tua madre. Troppo dolore, secondo me; sia per me che per te. Eppure mi sembra che sia un argomento che dovremmo toccare, anche solo in questa strana corrispondenza che stiamo tenendo, senza poi discuterne, senza poi accennare. Io ti scrivo, tu mi leggi: e magari qualcosa rimane nell’aria, tra te e me. Sicuramente nella nostra aria c’è tua madre, che saprebbe come parlarti e come parlare a me, ne sono certo. Io però vorrei parlarti di lei in quanto donna, non in quanto tua madre: perché credo che ce lo dimentichiamo tutti troppo spesso, che le madri e le mogli e le amiche e le sorelle sono prima di tutto donne, e come tali dovrebbero essere trattate. Io per tua madre, puoi immaginare, ho provato e provo tutto l’amore del mondo e lo proverò per sempre. Ma prima di tutto, e posso dirlo con immenso orgoglio, l’ho sempre rispettata. Non ho mai fatto o detto qualcosa che non volesse. Non le ho mai imposto la mia volontà, e mai lei lo ha fatto a me. Non c’è stata una sola volta che non abbia ammesso discussioni, che non l’abbia ascoltata, che abbia fatto di testa mia su quello che riguardava anche lei. Non c’è stata scelta in cui non l’abbia coinvolta. Non c’è stato un momento in cui io l’abbia considerata accessoria o secondaria. Mai. Soprattutto: non l’ho mai considerata mia. E su questo ti prego di riflettere. L’amore, sai, non è proprietà. Non è neanche possesso. Non dire “sei mia”, neanche se lo senti forte, neanche se pensi che lei voglia sentirselo dire. È la peggiore delle cose, il più basso degli insulti. Ho visto succedere cose atroci, in nome di quel senso di malintesa proprietà. È una donna, non un’auto o un paio di scarpe. Non ci può essere amore, senza rispetto. E non c’è rispetto senza riconoscimento di libertà. Io oggi posso dire di averla amata, tua madre, solo perché l’ho sempre rispettata. Ti voglio bene. ----------------- 07 - LUGLIO ----------------- INTIMITÀ VIOLATA Sei molto riservato e io non posso certo lamentarmene, perché hai preso da me. A volte vorrei chiederti del tuo rapporto col sesso, se qualcosa ti fa soffrire, se hai qualche paura. Le cose sono così cambiate dai miei tempi, sbirciavamo certi giornali esposti nelle edicole, fingevamo di essere più grandi per entrare al cinema a vedere certi filmetti che adesso sembrano così innocenti. Ti sorprenderebbe sapere quanti ragazzi vengono in caserma o ci chiamano perché sono in difficoltà. Molto spesso sono donne, più fragili in un mondo fatto dagli uomini per gli uomini. Cerchiamo di parlare, di arrivare a capire certe dinamiche soprattutto per vedere dove e come possiamo intervenire; la legge a volte può diventare un labirinto, un recinto che non consente di difendere chi ne ha bisogno. La settimana scorsa è venuta una ragazza, più o meno della tua età. L’accompagnava il fratello, maggiorenne. Mi hanno spiegato che si trattava di qualcosa di molto riservato, che i genitori se l’avessero saputo sarebbero morti di dolore e che per questo non volevano sporgere denuncia. L’ex fidanzato di lei continuava a mandare foto della loro intimità, minacciando di divulgarle se non fosse tornata con lui. Lei, tra le lacrime, mi ha detto che la sola idea la faceva stare male, ma che il pensiero di suo padre davanti a quelle foto la faceva stare anche peggio. Ho fatto qualcosa che non dobbiamo e non possiamo fare: sono andato io, in borghese, a parlare con questo ragazzo. Gli ho detto con chiarezza quello che sarebbe successo in caso di denuncia, e che la denuncia sarebbe scattata al primo invio di una qualsiasi delle foto a qualcuno che non fosse la ragazza. Spero abbia capito. Non posso fare di più, purtroppo. Spero anche che tu non abbia mai di questi problemi, e anche che non abbia mai sentimenti di vendetta. La vendetta è qualcosa di vigliacco. E mio figlio non è un vigliacco, e non lo sarà mai. Spero. Ti voglio bene. ----------------- 08 - AGOSTO ----------------- DIPENDENTI DA NULLA Ogni volta che si parla di libertà, si finisce con parlare di droga. Io, se devo dirti la verità, non sono mai riuscito a farmi un’idea. Immagino che, leggendo, sarai sorpreso. Starai spalancando gli occhi come hai sempre fatto, anche da piccolino, quando qualcosa ti meraviglia. Non te ne accorgi, ma lo fai ancora. Ma come, dirai: col mestiere che fai non hai un’opinione precisa e netta su questo argomento? Io nelle libertà ci credo, devi sapere. Anzi, interpreto il mio lavoro proprio come una difesa delle libertà di tutti, che vengono lese dall’esagerazione dell’esercizio delle autonomie personali. Per cui un fondamento di correttezza in chi dice che ognuno dovrebbe essere appunto libero di prendere quello che vuole, se non reca pericolo al prossimo, io lo vedo. Ma devo dire che nella mia vita professionale ho visto tanto, troppo altro. Ho visto famiglie rovinate per sempre, risparmi faticosamente accumulati dissolversi in pochi giorni. Ho visto ragazzi ammalarsi e perfino morire, lontano dalle madri e dai padri, che disperati li cercavano dovunque senza trovarli. Ho visto professionisti affermati e validi perdere ogni capacità, e persone alla guida di auto uccidere innocenti per la perdita del controllo. Però non è questo che mi fa paura; non è questo che mi porta a dire che sì, cancellerei la droga dalla faccia della terra, che l’eliminerei dalla vita sotterranea delle città. Quello che mi fa paura è la perdita totale della volontà. L’incapacità di decidere, di autodeterminarsi. Si diventa vigliacchi, bugiardi, codardi, ingannevoli. Si va via, in un inferno profondo, e non si torna più. L’ho visto tante volte, sai. L’ho visto tutte le volte. Questo mi dà i brividi. Per questo prego Dio che tu resti lontano da ogni dipendenza. O che almeno me ne parli, perché un padre serve anche a questo. Ti voglio bene. ----------------- 09 - SETTEMBRE ----------------- LA CIVILTÀ DEI PICCOLI GESTI Oggi pomeriggio ho fatto un giro; ho mangiato in fretta il panino, poi ho visto dalla finestra della caserma che c’era un bel sole e ho pensato di andare a prendere un po’ d’aria. Sono andato vicino al fiume, appena fuori città. Ci andavo con tua madre, qualche volta, senza una ragione precisa se non il fatto che è proprio un bel posto, erba e ombra di alberi, cicale e qualche calabrone, il rumore dell’acqua. Mi sono messo seduto, coperto dalla siepe. A pensare, a ricordare, ad annusare le foglie, non lo so. Dopo un po’ ho sentito che sono arrivati dei ragazzi, di là dalla siepe; erano in quattro, c’erano due ragazze, con i motorini. Scherzavano, ridevano; a voce un po’ alta, ma non mi disturbavano. Dovevo andare via presto per tornare al lavoro, d’altronde. Ho sentito che mangiavano e bevevano, le bottiglie, il rumore delle posate. Un picnic, come lo chiamavamo noi all’epoca. Mi sono accorto che sorridevo, perché ricordavo la faccia di tua madre quando diceva che non voleva mangiare per non ingrassare, e poi io aprivo il cartoccio delle fritture e lei le divorava sentendosi in colpa. Me ne sono stato lì ad ascoltare. Poi hanno finito e sono andati via, ridendo. Mi aveva fatto piacere condividere un po’ di quel sole e di aria buona con dei ragazzi. Poi però, quando mi sono alzato e ho guardato di là dalla siepe, ho visto uno sfacelo. Avevano lasciato tutto lì, cartacce, bottiglie vuote di vetro e plastica, contenitori di alluminio. C’erano perfino gli avanzi di cibo, e già stavano arrivando le formiche. Naturalmente ho raccolto tutto, ma mi dispiaceva così tanto: come fosse stato il salotto di casa mia, sporcato senza alcuna cura da estranei. Ti prego, fai come se la città fosse casa tua. È un pensiero semplice, facile da fare: ma ti aiuta a vivere meglio, e a far vivere meglio gli altri. Ti voglio bene. ----------------- 10 - OTTOBRE ----------------- LA RAGIONE PARLA A VOCE BASSA Ho notato che ieri sera eri particolarmente interessato al telegiornale. Mi ha fatto molto piacere, stupidamente quelli della mia età pensano che i ragazzi siano superficiali, che seguano solo le notizie che riguardano sport e spettacolo, cantanti e calciatori. Invece siete attenti anche alla politica, a quello che succede all’estero, all’economia. E alla cronaca. Ho riflettuto parecchio su questo. In effetti, è come se voi giovani ci guardiate, e che inevitabilmente ci giudichiate. Siete nel mondo, e il mondo è anche come lo abbiamo fatto noi, come lo abbiamo sbagliato, immaginandolo in un modo e realizzandolo in un altro. E mi sono preoccupato, sai perché? Per il telegiornale. E per la montagna di commenti, di notizie e di approfondimenti che vi investono ogni giorno. Mi sono chiesto come faccia un ragazzo a decidere il vero e il falso, il giusto e il manipolato. Ti ho immaginato solo e perso in una giungla di schermate e di frasi brevi, urlate e con tanti punti esclamativi. Non so come aiutarti, su questo. Ma mi fido di una cosa, che so che hai e che devi sempre mantenere: la capacità di pensare con la tua testa. Io cerco di fare così, scelgo qualcuno di autorevole, testate giornalistiche antiche e consolidate, e parto da lì. Mi faccio un’idea mia di quello che è accaduto, e all’interno di quest’idea provo a cercare i pezzi di verità che sono sparsi dovunque. Più di tutto, tengo presente la diffamazione. Chi insulta, chi giudica senza sapere, chi aggredisce lo allontano, lo cancello. Perché se c’è una cosa che ho imparato è che non è mai vero che la ragione è di chi urla più forte. Anzi, credo proprio che chi ha ragione non abbia mai bisogno di urlare. Non credi? Ti voglio bene. ----------------- 11 - NOVEMBRE ----------------- SICURI E QUINDI LIBERI Oggi sorridendo ascoltavo due colleghi giovani, di poco più grandi di te, che si lamentavano di come la gente ci guarda. Loro fanno pattuglia, sai, controllo della circolazione stradale. Si mettono in certi punti dove c’è una piazzola e fermano le auto, controllano i documenti, rilevano infrazioni. Cose così. Dicevano che le persone hanno sostanzialmente disagio. Fastidio. Quelli in regola sentono di perdere tempo, un impedimento noioso. Quelli che hanno qualcosa che non va, patente scaduta, revisione dell’auto non fatta, addirittura sentono di subire un’ingiustizia. Uno dei due ha detto all’altro che aveva sentito una moglie dire al marito: ecco, se la prendono con la gente perbene, invece di cercare i delinquenti. Ecco, io ti voglio dire questo: non pensare mai che possa esistere libertà senza sicurezza. Non essere insofferente ai controlli, che sono fatti solo per fare in modo che gli altri, tutti gli altri, possano esercitare la libertà senza correre rischi. Anche semplicemente in un controllo ci può essere la salvaguardia della tua, della nostra vita. Freni che non prendono bene, qualche diottria in meno, un messaggio da inviare urgentemente, una freccia che non lampeggia perché la lampadina è bruciata sembrano sciocchezze, e invece possono essere la differenza tra la vita e la morte. Sapessi quante ne ho viste. Ho detto ai ragazzi di non preoccuparsi degli sguardi e delle parole di fastidio. Perché loro, facendo semplicemente pattuglia all’angolo della provinciale, salvano la vita alla gente. Ho pensato di dirlo anche a te. Non dimenticare che per essere veramente libero, devi essere sicuro. Ti voglio bene. ----------------- 12 - DICEMBRE ----------------- L’ANTIDOTO ALLA SOLITUDINE Avrai notato che queste mie strane lettere, questi messaggi che affido alla tua camera e che certamente leggi, anche se non ne parliamo, finiscono tutte con le stesse parole: ti voglio bene. Ovvio, penserai. Sono tuo padre, è naturale che ti voglia bene. E so che anche tu me ne vuoi, perché tu e io siamo una famiglia e lo saremo sempre, nel ricordo dolcissimo di tua madre. Eppure se vedessi quello che quotidianamente vedo io, penseresti che così ovvio non è. E che quindi è meglio dirselo, a costo di diventare un po’ stucchevoli. Il mondo, sai, è diventato un posto strano. Se mandi qualcuno a quel paese, meglio ancora se usi parole di rabbia o di violenza, sei uno forte e deciso, probabilmente sincero e quindi vieni apprezzato di più. Se dici a qualcuno che gli vuoi bene, sei uno debole, fragile e magari ipocrita. Ragion per cui sono sempre meno le manifestazioni di affetto, e sempre più quelle aggressive, che generano a lungo andare violenza fisica e odio. La colpa? Secondo me è della solitudine. Certo, non sono un sociologo o un filosofo; e tantomeno uno studioso di linguaggio e di comportamenti. Ma ho un osservatorio piuttosto privilegiato, che è il mio mestiere che mi porta a contatto con le peggiori manifestazioni anche all’interno della famiglia, e ti garantisco che non c’è stata mai un’epoca storica in cui siamo stati tanto soli. Sembriamo connessi, perennemente in contatto: invece siamo chiusi in una solitudine terribile, pieni di angosce e di ansie, soprattutto di paure. È per questo che diventiamo reattivi, violenti e aggressivi. Se posso insegnarti qualcosa, figlio mio, ascolta quello che ti dice questo carabiniere che vede troppo mondo, ogni giorno: ricorda di dire sempre “ti voglio bene”. Meglio una volta in più che una in meno. È la cosa più bella del mondo, amare qualcuno. Non dimenticarlo. Ti voglio bene. --------------------------------------------- RICOMPENSE DELL’ARMA DEI CARABINIERI DAL 1814 aggiornato al 5 giugno 2024 ALLA BANDIERA DELL’ARMA 1 Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia 8 Croci di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia MEDAGLIE D'ORO 3 al Valor Militare 3 al Valor dell’Esercito 12 al Valor Civile 8 al Merito della Sanità Pubblica 5 ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte 2 ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte 2 ai Benemeriti dell’Ambiente 1 di Benemerenza per il terremoto del 1908 10 al Merito Civile 1 di Benemerenza per il terremoto del 2009 MEDAGLIE D’ARGENTO 5 al Valor Militare 1 al Valor Civile MEDAGLIE DI BRONZO 4 al valor militare CROCI DI GUERRA 2 al valor militare --------------------------------------------- INDIVIDUALI A MILITARI DELL’ARMA 16 Croci di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia 47 Croci di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia MEDAGLIE D'ORO 122 al Valor Militare 2 al Valor dell’Esercito 1 al Valor di Marina 37 al Valore dell’Arma dei Carabinieri 180 al Valor Civile 86 al Merito Civile 27 al Merito della Sanità Pubblica 2 ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte 9 ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte 5 ai Benemeriti dell’Ambiente 135 di Vittime del terrorismo MEDAGLIE D’ARGENTO 3168 al Valor Militare 16 al Valor dell’Esercito 22 al Valor di Marina 61 al Valore dell’Arma dei Carabinieri 2257 al Valor Civile 80 al Merito Civile 25 al Merito della Sanità Pubblica 37 ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte 1 11 ai Benemeriti dell’Ambiente MEDAGLIE DI BRONZO 5732 al Valor Militare 14 al Valor dell’Esercito 42 al Valor di Marina 33 al Valore dell’Arma dei Carabinieri 3609 al Valor Civile 300 al Merito Civile 47 al Merito della Sanità Pubblica 132 ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte 4 ai Benemeriti dell’Ambiente CROCI 3616 Croci di Guerra e Croci al Valor Militare 22 Croce d’Onore alle vittime di atti di terrorismo o di atti ostili impegnate in operazioni militari e civili all’estero