Già il titolo è compromettente. Il libro di Giovanni Toti “Confesso: ho governato” è lontano, molto lontano da qualsiasi ammissione di colpa, anzi. E di fronte alla domanda, offerta sotto al palco dell’ex Salso ieri sera, se per chi fa politica esiste il rischio di finire nelle braccia della giustizia, l’ex presidente della Liguria ammette che “è un rischio possibile, oggi è proprio così”.
Se non è una rivendicazione di innocenza nella forma, lo è nella sostanza. Un equivoco sostanziale, invece, dovuto all’istituto giuridico del patteggiamento, utilizzato nel suo caso, che non prevede l’ammissione della colpa anche se, nel codice di procedura penale la sentenza di patteggiamento è equiparata a una sentenza di condanna.
E la presentazione del giornalista Paolo Liguori serve a gettare acqua sul fuoco degli interventi di eventuali e potenziali giustizialisti. “Il libro è una riflessione coraggiosa – commenta Liguori – Giovanni dice di aver costretto la Procura a patteggiare, quella Procura che, grazie al 'fumus' sollevato da quelle vicende, stimava di poter condizionare una politica debole come appariva in quel periodo delicato”.
D’altronde il giornalista mette sotto esame il sistema giudiziario. “I magistrati sono esseri umani – tiene a sottolineare – e, lasciati senza controllo, possono sbandare e avanti così si arriva alla disgregazione della politica mentre l’immunità parlamentare che era nella Costituzione ora non esiste più”. Quel “lasciati senza controllo”, però, potrebbe far pensare a un sistema giudiziario da mettere sotto il controllo politico, a situazioni di un tragico ventennio da dimenticare. In effetti tutti argomenti che l’ex governatore aveva lanciato appena entrato nella ex Salso davanti al nugolo dei giornalisti. “Ormai è necessaria una normativa che ridia alla politica la possibilità di fare politica – aveva detto Toti – La legge non deve limitare il finanziamento se legittimo e non considerarlo assurdamente illecito: io non mi pento di tutto quel che ho fatto”.
Anche il sindaco Claudio Scajola fa parte del collegio di difesa se mai Toti ne avesse bisogno ma precisa il suo intervento per motivi diversificati tra umani e razionali. “La mia è una condivisione umana – sottolinea il primo cittadino imperiese – perché sono cosciente della sofferenza inflitta dall’azione dei Pm ed esiste anche un motivo razionale perché la giustizia non può essere strumento per la pulizia etica e morale mentre deve utilizzare altri parametri”. La visione di Scajola è soprattutto funzionale al compito istituzionale del pubblico amministratore. “Sono assolutamente convinto della funzione della democrazia che decide – aggiunge – Il politico ha il dovere di fare, non è giusto demonizzare il suo eventuale rapporto con i privati con giudizi di carattere morale”.
Quando Toti prende la parola, allora si delinea la sua vicenda.
“Il libro racconta una storia ligure che non ha lieto fine – esordisce l’ex governatore – È il tentativo di fare un’analisi lucida della vicenda con la politica latitante come vero imputato: dopo la mia estate vissuta come un gangster, alla fine non è rimasto nulla perché la corruzione non c’era e neppure l’asservimento, non c’era nulla di illegittimo nei miei comportamenti: un processo fondato sulle intenzioni mentre è la politica che deve intervenire per definire se certi comportamenti sono da ritenere reati”.
Ovvero, si deve capire che quello non è reato soprattutto se fondato su intenzioni e comunque sui fini precipui del politico amministratore.
Allora vicende giudiziarie come quelle di Toti sembrano risolversi come frutto di un’ipocrisia di cui la politica è contemporaneamente vittima e responsabile e che dimostra di essere incapace di risolvere. E, se soltanto in Italia il patteggiamento non prevede l’automatica ammissione di colpevolezza, tutto un iter processuale diventa complesso e altrettanto facile da giustificare come da condannare. Non ci sono colpevoli e neppure innocenti.