Improvvisa quanto difficilmente motivabile, la decisione del Presidente a termine degli Stati Uniti Joe Biden, di autorizzare il suo sodale Presidente errante Zelensky ad impiegare i cosiddetti missili a lungo raggio, anche contro il territorio russo, nei giorni scorsi ha fatto prepotentemente irruzione nel panorama della guerra tra Russia e Ucraina, creando l'ovvio e dovuto sconcerto.
Ma ancora non si erano assorbita la sorpresa per i missili che Biden ha voluto rincarare la dose, confermando che gli Stati Uniti forniranno all'Ucraina “mine antiuomo persistenti”, vale a dire ordigni esplosivi in grado di disattivarsi in due settimane (qualora programmati).
Due decisioni molto forti ed influenti, che di certo hanno fatto gioire il Presidente ucraino ma che, con altrettanta certezza, non giovano ad un eventuale qualsiasi spiraglio di trattativa, perlomeno per un cessate il fuoco.
La notizia sull'autorizzazione per i missili era stata data in anteprima dal New York Times, su imbeccata di alcuni funzionari dell'Amministrazione presidenziale americana, dopodiché la sua ufficializzazione è avvenuta non attraverso una vera e propria dichiarazione formale da parte della Casa Bianca, ma con un pressoché immediato impiego dei missili contro il territorio russo da parte di Kiev.
Tutto questo potrebbe trovare una motivazione nel fatto che questa decisione non sarebbe stata assunta con il benestare di tutto l'entourage del Presidente, ma piuttosto sarebbe stata frutto di un suo autonomo “colpo di testa”. Il che, se da una parte consola, perché consente di sperare che non tutti gli Americani, che hanno voce in capitolo nella crisi tra Kiev e Mosca, siano pervasi da tale livellò di incoscienza, dall'altra preoccupa non poco perché lascia intendere che il leader USA, perlomeno per questo problema, non intende limitarsi alla routine di fine mandato, ma vuole giocare ancora un ruolo da protagonista sino alla fine. E alla sua fine, come Presidente della Nazione più potente del mondo, mancano ancora due mesi che, viste le premesse, potrebbero rivelarsi molto lunghi e, soprattutto, rischiosi per gli sviluppi futuri della situazione internazionale.
Ma quali potrebbero essere le motivazioni che hanno spinto Biden a modificare così radicalmente l'approccio sin qui tenuto dagli USA sull'impiego dei missili contro la Russia?
Inizialmente, il citato quotidiano newyorkese, ha cercato di motivare questo improvviso e netto cambio di rotta americano, sia come una risposta alla decisione di Mosca di coinvolgere truppe nordcoreane nel conflitto sia come monito a Pyongyang, per dissuaderla a proseguire nel suo impegno militare in Russia. Questo perché la nuova autorizzazione sarebbe caratterizzata dalla condizione USA di colpire anche i reparti della Nord Corea nella zona di Kursk, in territorio russo, impegnati nel contrattacco che Putin sta per sferrare, per la riconquista delle aree ancora sotto controllo delle unità ucraine.
Anche se questa versione, nelle ore successive, è stata flemmatizzata da una mancata ufficializzazione da parte della Presidenza, resta comunque un'ipotesi che mantiene una sua plausibilità, soprattutto perché si accorda bene con il trend di uno dei tipici modus operandi degli USA, che spesso confidano molto nel potere dissuasorio dell'uso della forza.
Pertanto, vale la pena qualche riflessione al riguardo.
Per quanto gli Americani, per ora, abbiano limitato alla Regione di kursk l'uso dei missili, in modo da difendere i reparti ucraini dal contrattacco russo, resta inoppugnabile il fatto che, il loro lancio è comunque diretto a colpire il territorio russo. Quindi, queste armi occidentali vanno a rinforzare quelle operazioni dell'Ucraina, che Putin considera costituire un attacco alla Russia, come più volte ribadito dal Governo di Mosca, che ha altresì definito una linea rossa da non oltrepassare proprio l'uso di armamento occidentale oltre i propri confini. Questo perché, secondo la visione putiniana, l'uso di missili forniti dall'Occidente contro il territorio russo significherebbe un suo coinvolgimento diretto nella guerra, con tutte le conseguenze di escalation immaginabili e non.
La prima reazione russa è stata l'immediata ufficializzazione della modifica della propria dottrina d'impiego dell'arma nucleare, prevedendo di fare ricorso all'atomica qualora la Russia si sentisse “minacciata da un intervento diretto occidentale nella guerra”. Un intendimento ben chiaro che Mosca ha sorprendentemente esteso anche alla confinante Bielorussia, che formalmente non è coinvolta nel conflitto ma che, in effetti, è de facto schierata a fianco dell'alleato russo. Inoltre, Putin ha dichiarato di essere pronto a presupporre un attacco nucleare anche contro Nazioni “non nucleari”, qualora queste fossero supportate in operazioni belliche da una o più potenze dotate di atomica. E con questo assunto, l'Ucraina è “servita”.
Questo nuovo approccio operativo nucleare russo, pur essendo ancora a livello solo concettuale, di fatto però pone i presupposti per la peggiore delle escalation, volendo probabilmente dimostrare che quella sicurezza degli Americani che la Russia, fondamentalmente, non è disposta a cadere nel baratro dell'impiego dell'arma atomica, forse si basa su valutazioni un po' troppo ottimistiche.
Ed un primo segnale in questo senso potrebbe già essere arrivato venerdì 22 novembre, con il lancio sulla Città di Dnipro del nuovo missile russo Oreshnik, ancora in fase sperimentale, che non ha provocato particolari danni, perché la sua testata era dotata di cariche molto piccole o addirittura inerti. Ma lo scopo non era quello di distruggere qualcosa, quanto piuttosto quello di lanciare un monito agli Ucraini ed ai loro alleati, avvertendoli che questo tipo di missile non é attualmente intercettabile, per la sua velocità di crociera ipersonica e può trasportare testate nucleari. Un duro colpo per l'ottimismo occidentale verso l'atteggiamento nucleare russo.
Così come potrebbe essere pervasa da eccessivo ottimismo, anche la convinzione di Biden di riuscire a portare a più miti consigli sia Mosca che Pyongyang, nell'impegno nordcoreano in Russia, colpendo con i missili a lunga gittata le unità asiatiche, che stanno per entrare in combattimento nella Regione di Kursk, a fianco dei Russi.
Al riguardo, è necessario ancora una volta ricordare che tra le due Nazioni esiste un trattato bilaterale, firmato recentemente, che prevede il reciproco soccorso militare, qualora una delle due fosse minacciata o attaccata. Quindi, si può legittimamente pensare, anche in termini di Diritto Internazionale, che sino a quando i soldati nordcoreani saranno impegnati in combattimento solo sul suolo russo, per quanto contro truppe ucraine, la Corea del Nord non possa essere considerata coinvolta nel conflitto tra Russia e Ucraina e, pertanto, non possa essere considerata un fattore di escalation del conflitto stesso. Tesi fortemente sostenuta sia da Zelensky che da Biden.
In un simile contesto, è possibile quindi essere scettici sul fatto che il leader nordcoreano Kim Jong-un, qualora dovesse prendere atto della perdita di propri soldati, in territorio russo per effetto di missili americani usati dagli Ucraini, possa impaurirsi e, magari, desistere dal rispettare il suo accordo con Putin. Al contrario, vista la natura dittatoriale della sua leadership nazionale, visti gli atteggiamenti apertamente di sfida, che sinora ha assunto verso i moniti e le Risoluzioni della Comunità internazionale e considerato che gli USA, il suo nemico più acerrimo, sono impegnati in varie situazioni di crisi, per cui potrebbero avere problemi di disponibilità immediata di forze, oltre a quelle già schierate nella Regione coreana, Kim Jong-un potrebbe essere più tentato a inventarsi qualche reazione che non a ritirare le proprie truppe dalla Russia. Vale a pena ricordare che la Nord Corea è già dotata di una cinquantina di testate nucleari e, giusto nello scorso settembre, ha dichiarato di voler incrementare il proprio potenziale.
Siamo quindi di fronte ad una situazione che, probabilmente mai come in questo momento, evidenzia dei presupposti di possibile escalation concreti, seri e, quel che è peggio, motivati. Putin era stato chiaro nel porre la sua ultima linea rossa da non oltrepassare, né più né meno come aveva fatto qualche mese prima di attaccare l'Ucraina. Allora aveva messo la sua posta sull'ingresso dell'Ucraina nella NATO, ora sull'impiego delle armi occidentali contro il territorio russo. Allora Biden affermò di non accettare alcuna linea rossa, confermando la sua sponsorizzazione di Kiev nell'Alleanza e Putin avviò la sua “operazione Speciale”. Ora Biden ha autorizzato Zelensky ad usare i suoi missili USA contro la Russia e Putin ha ufficializzato la nuova dottrina nucleare e ha fatto lanciare un primo missile che può perforare senza problemi le difese aeree ucraine.
Si fermerà qui? Purtroppo è difficile esserne certi perché, a meno di ulteriori “colpi di testa” di Biden, che non sono assolutamente da escludere nei prossimi due mesi, sta per irrompere sulla scena il nuovo protagonista presidenziale americano, che costituisce una variante, al momento, di difficile interpretazione, ma che fa sperare per un avvio serio delle trattative. Nel frattempo, nell'attesa delle prime mosse che farà Trump, i contendenti tenteranno di incrementare l'entità dei territori nemici sotto il loro controllo, in modo da presentarsi ad un eventuale tavolo delle trattative con u iln maggiore potere contrattuale.
Pertanto, la Russia cercherà di “finire il lavoro” con la conquista di tutto il Dombass, mentre l'Ucraina cercherà di mantenere il controllo della sua “testa di ponte” nella Regione di Kursk. Due obiettivi diversi, ma con il massimo comun divisore nelle ingenti perdite che entrambe le parti dovranno subire per cercare di prevalere.