Lo scorso venerdì 27 settembre, il Leader israeliano Benjamin Netanyahu ha partecipato alla 79^ Sessione dell'Assemblea delle Nazioni Unite, ma quando gli è stata concessa la parola per un suo intervento, in merito a quanto sta succedendo in Medio Oriente, è successo un qualcosa che è difficile trovare nella storia dell'ONU. In pratica, l'aula si è quasi svuotata, perché gran parte delle delegazioni si sono allontanate in segno di protesta, per come Tel Aviv sta conducendo le sue operazioni militari a Gaza e ora anche in Libano.
Non è stato sinora possibile conoscere, dalle cosiddette “fonti aperte” (i Media), quante siano state le delegazioni che hanno abbandonato l'Assemblea, ma dalle immagini del discorso del Premier, appare evidente che siano state veramente numerose.
D'altra parte, scorrendo le testate straniere, i termini usati per indicare l'entità della protesta sono stati “several” (molte), “dozens” (dozzine) “many” (tante), che confermano quanto ineluttabilmente dimostrato dalle riprese filmate.
Ma se invece si scorrono le nostre “fonti aperte”, soprattutto quelle più importanti, il termine che hanno utilizzato è stato “alcune”. Cioè, per “Il Giornale”, La Stampa”, il “Fatto quotidiano” e tanti altri giornali e siti informativi, sono state soltanto “alcune delegazioni” che non hanno voluto ascoltare le parole di Netanyahu.
Veramente strano, perché sarebbe stato sufficiente visionare obiettivamente le immagini che, tra l'altro, hanno fatto il giro del mondo e farsi i cosiddetti “conti della serva”. Infatti, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite è costituita dai Rappresentanti dei 193 Paesi Membri, dagli Osservatori di 2 Stati Non membri (Città del Vaticano e Palestina) e dagli Osservatori di 73 Organizzazioni Internazionali, tra cui l'Unione Europea.
Bisogna quindi ammettere che quando l'Assemblea è riunita in Sessione Plenaria (la prima fu nel 1947) con ben 268 delegazioni è un bel colpo d'occhio, per cui risalta subito con chiarezza se, invece, gran parte delle poltroncine sono vuote, come successo venerdì scorso con Netanyahu. Ma sembra che i Media italiani non se ne siano accorti.
Sembrerebbe trattarsi della stessa indulgenza che regolarmente permea i Governanti occidentali quando devono commentare gli atti compiuti da Tel Aviv. Si perché, pur di fronte ad una vera e propria mattanza di Palestinesi per mano delle armi delle IDF – Israel Defence Force, non esprimono “vibranti parole di condanna”, come ci si aspetterebbe da qualsiasi governo democratico e civile di questo mondo, ma si limitano ad affermazioni del tipo “Israele non pone sufficiente rispetto nei confronti dei civili” oppure “Israele si difenda, ma smetta di colpire i civili”, pronunciate dal nostro Ministro Tajani nei mesi scorsi, per arrivare al monito della Presidente del Consiglio Meloni, espresso proprio alla 79^ Sessione dell'ONU “Affermiamo il diritto di Israele di difendersi da attacchi esterni...ma allo stesso tempo chiediamo ad Israele di rispettare il diritto internazionale, tutelando la popolazione civile”.
A circa 10 mesi dall'inizio dell'attacco israeliano, a Gaza si contano più di 1 milione e 300 mila sfollati, di cui più di mezzo milione di bambini e un massacro di più di 40.000 mila morti. In Libano, dopo pochi giorni, ci sono già più di 1 milione di sfollati, più di mille morti e circa 6.300 feriti. Cifre che, tutto sommato, fanno sembrare limitate le perdite ucraine che, dopo più di due anni di guerra, contano 10.500 civili morti, di cui quasi 600 bambini.
Potrebbe sembrare cinico ridursi a fare la “conta della morte”, ma sembra essere l'estremo criterio che potrebbe portare alla ragione tanta gente che conta del mondo occidentale. La stessa che non si scompone se un Premier, sul cui capo pende un'inchiesta per genocidio da parte della Corte Internazionale dell'Aia, si permette di insultare l'ONU nella sua sede e presso il suo Organo più importante, qual'è l'Assemblea Generale, affermando che “l'ONU è una palude di bile antisemita” o ancora “una società terrapiattista anti israeliana”, per finire, con tono sprezzante, con un avvertimento dal sapore di minaccia, dicendo di avere “un altro messaggio per questa Assemblea e per il mondo la fuori da questa sala: stiamo vincendo”.
Nell'attuale ottica del Leader israeliano, che però non sembra essere quella di tutto il suo Paese, viste le contestazioni a cui è soggetto in patria, ci può anche stare che si senta sulla via della vittoria, ma “il mondo la fuori di questa sala” ha il dovere di prendere nella dovuta considerazione il modo con cui Tel Aviv sta conseguendo questa vittoria e il prezzo che tutta una regione dovrà pagare.
Netanyahu ha confermato che le operazioni militari continueranno sino alla distruzione totale sia di Hamas che di Hezbollah, lasciando intendere di non essere affatto preoccupato delle perdite di civili che ancora ci saranno. Non ha minimamente accennato alla recentissima proposta franco-americana di prevedere una tregua di una ventina di giorni in Libano.
Tel Aviv continua dritta per la sua strada, incurante di ciò che pensa l'ONU, che ha ripetutamente condannato il suo operato e che, nel giugno scorso, ha inserito Israele nella cosiddetta “lista della vergogna”, quell'elenco, aggiornato annualmente, in cui vengono riportati quei Paesi e gruppi armati che si macchiano di gravi violazioni contro i bambini. Lo Stato ebraico è quindi finito in compagnia di Hamas e della Jihad islamica.
Purtroppo però, al pari della settantina di Risoluzioni emanate negli anni dal Consiglio di Sicurezza contro Israele, anche l'evidente dissenso dimostrato venerdì scorso da gran parte dei Membri delle Nazioni Unite potrebbe non riuscire a sortire alcun effetto.
Tuttavia, a fronte di tanta arroganza, sotto l'aspetto militare, Israele dovrà ora prendere una decisione che potrebbe seriamente influire sul suo futuro, perlomeno a breve/medio termine.
Hezbollah non è Hamas, perchè é un movimento molto più organizzato, strutturato ed equipaggiato. Inoltre, il Libano non è Gaza perché, per quanto debole, è pur sempre uno Stato sovrano ed ha un'estensione territoriale maggiore e più profonda rispetto alla Striscia e può contare su confini “amici”, come quello siriano, che consentono rifornimenti più agevoli dall'Iran.
Nei primi dieci giorni di operazioni, Israele si è limitato ad attaccare dal cielo le postazioni e le strutture di Hezbollah, ma se intende realmente far piazza pulita del Partito di Dio, dovrà per forza prevedere un'azione di terra, perché la sola componente aerea, per quanto molto importante, non può portare a termine definitivamente tale compito.
Affinché abbia buone probabilità di successo, un attacco con le forze terrestri dovrebbe essere condotto con l'impegno di molte unità, da trarsi dalle quelle già impiegate a Gaza, che certamente non possono essere propriamente considerate fresche e dalle restanti riserve che, anche per Israele, non sono inesauribili. Ma per conseguire l'obiettivo della distruzione di Hezbollah, per Tel Aviv permangono due grosse incognite, a cui non è possibile dare risposta a priori. Il tempo che sarà necessario e la profondità nel territorio libanese che le sue truppe dovranno raggiungere, per eliminare tutte le risorse dell'organizzazione sciita.
Infine un'ultima considerazione da non sottovalutare. Dall'inizio del loro intervento a Gaza, le IDF hanno sinora subito la perdita di circa 250 soldati ed il ferimento di 1500. Anche se tecnicamente possono essere considerate perdite sostanzialmente limitate, soprattutto nella considerazione che si è trattato di un combattimento in ambiente urbano che comporta un elevato tasso di usura delle unità, tuttavia l'opinione pubblica israeliana potrebbe cominciare ad accusare una certa stanchezza morale verso questo aspetto. L'invasione del Libano ed un confronto diretto con le formazioni di Hezbollah, teoricamente più preparate di quelle Hamas, potrebbe comportare un inasprimento delle perdite israeliane, con le immaginabili conseguenze.
In mezzo a tutte queste supposizioni ed indeterminatezze, una cosa purtroppo rimane chiara in tutta la sua certezza. Il coinvolgimento della popolazione libanese sarà uguale a quello subito dalla popolazione palestinese della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, perché quasi sicuramente gli Israeliani non cambieranno le loro modalità operative.
E allora c'è da chiedersi, con seria preoccupazione, sino a quando i Governi occidentali si limiteranno a chiedere a Netanyahu di rispettare i diritti umani? Quanti morti ci vorranno ancora perchè si decidano a condannare fermamente le continue violazioni israeliane? Una buona parte del mondo l'ha già fatto venerdì scorso, ma è risultato insufficiente, perché solo un vero e reale isolamento politico di Israele potrà indurre Tel Aviv a più miti e corretti consigli.