Immergendosi nella macchia mediterranea di Capo Berta si entra in un Paradiso terrestre fatto di colori, di profumi, di gioia, di condivisione e anche di soddisfazioni.
Purtroppo ancora troppo lontano dai riflettori dalla città è attivo da oltre vent’anni l’I.S.A.H., il Centro di riabilitazione polivalente dove 350 ragazzi con disabilità gravi vivono insieme attività motorie, esperienze, laboratori respirando l’aria di mare che sale sulla collina sopra l’Incompiuta.
Tra cipressi, palme e fiori che ricordano tanto i giardini Hanbury con le terrazze a strapiombo sulla costa vive “un altro mondo” fatto di sorrisi, amicizie, impegno. I 350 ragazzi sono divisi tra ambulatoriali, residenziali e semi residenziali.
Alcuni infatti vivono nella villa ex Novaro diventata di proprietà dell’Isah. L’amore per questo lavoro lo si legge negli occhi di uno dei tantissimi educatori. “Vivi le giornate a fianco di questi ragazzi che hanno voglia di imparare e soprattutto ti ripagano con sorrisi che ti fanno stringere il cuore”, parla con la pelle d’oca che Marco Minazzi che con grande entusiasmo lavora insieme ad altre 130 persone tra neuropsichiatra, neuropsicomotrici, educatori professionali sanitari, infermieri e Oss.
Un team affiatato, professionale diretto da Luca De Felice. L’Isah vive in completa autonomia ed è presieduto da Stefano Pugi a capo di un CdA composto da sette membri. “Questa è una famiglia – ci tiene a precisare Pugi - e nella famiglia ci sono i nostri ragazzi che arrivano non solo dal comprensorio imperiese ma anche da Genova, dal Piemonte, dalla Lombardia. Gli operatori svolgono un lavoro esemplare. A gratificare il loro impegno sono i sorrisi di questi ragazzi che ti corrono incontro appena ti vedono. E’ vero questo è un Paradiso terrestre che però vive di luce propria”.
L’Isah non riceve sovvenzioni da enti pubblici, esiste una convenzione con l’Asl. Per il resto anche la manutenzione di questo immenso giardino è sulle spalle del centro di riabilitazione imperiese. “Coinvolgere di più la città? – si chiede Pugi – Sì, è una idea. Magari creando eventi qui nel nostro ambiente. L’Open day raccoglie le famiglie dei ragazzi, ma possiamo certamente fare di più”.