Il 16 e 17 maggio scorsi, Putin era a Pechino, per effettuare la sua quarantatreesima visita in Cina in poco più di10 anni. Un vero record che evidenzia chiaramente quanto siano stretti i rapporti tra questi due giganti, che risalgono già a tempi decisamente precedenti alla guerra con l'Ucraina.
Si consideri che, ancora nel febbraio 2016, l'eterno Ministro degli esteri russo Lavrov veniva ricevuto dal Segretario Generale della NATO Stoltemberg, per individuare le possibili linee di sviluppo della cooperazione tra l'Alleanza e la Russia, nonostante Mosca avesse perso il controllo politico sull'Ucraina a favore dell'Occidente, dopo la Rivoluzione di Piazza Maidan del 2014.
Quindi le relazioni tra Cina e Russia si sono progressivamente consolidate in un periodo relativamente breve e quest'ultimo incontro, tra Putin e Xi Jinping, potrebbe aver delineato quel percorso di sviluppo per una cooperazione militare sempre più strutturata, che Lavrov cercava nel 2016 con la NATO.
L'accoglienza che il Leader cinese ha riservato al suo omologo, definito “amico di vecchia data”, è stata trionfale e degna dei più alti livelli di rappresentanza, con tanto di cerimonia e parata militare in Piazza Tienanmen. Un segnale chiaro ed inequivocabile di forza e di unità per tutto il mondo Occidentale, dagli Stati Uniti alla NATO e all'Unione Europea, ma anche per tutta la Regione indo-pacifica, soprattutto nell'ottica del “problema Taiwan”.
Oltre a tutta una serie di accordi bilaterali nei settori economico e della ricerca, è stata siglata una dichiarazione congiunta che impegna i due Paesi ad approfondire “un partenariato globale e una cooperazione strategica”. Concetti che possono sembrare solo teorici ma che, in realtà, presuppongono per entrambi un dominio di collaborazione che non si pone né limiti né confini. Partenariato globale, inteso come illimitatezza delle risorse reciprocamente messe a disposizione e cooperazione strategica, intesa come reciproca disponibilità in ogni parte del mondo.
Indubbiamente, come alcuni analisti hanno positivamente evidenziato, non si tratta di un'Alleanza, che normalmente comporta automatismi e procedure, tuttavia si potrebbe anche pensare che la forza sostanziale di questo accordo risieda proprio nel fatto che Putin e Xi non hanno circoscritto la loro intesa con vincoli definiti, ma l'hanno lasciata libera per qualsiasi esigenza “globale e strategica”.
Una collaborazione militare che, a detta del Ministro della Difesa cinese, é pronta a “difendere la giustizia nel mondo”, parafrasando quella funzione di “gendarmi del pianeta” che, per decenni, gli Stati Uniti si sono unilateralmente attribuiti. Ed è proprio questa contrapposizione a Washington, così netta, dichiarata e a tutto campo, che costituisce il principale collante di questo sodalizio cino-russo che, tra l'altro, celebra i suoi 75 anni di relazioni ufficiali.
Chi non ha alcunché da festeggiare sono gli Americani, fortemente preoccupati per tutto questo, al punto di cominciare a porre degli out out affermando, per bocca del Portavoce del Dipartimento di Stato, “La Cina non può avere rapporti con la Russia e con l'Occidente. Non può avere entrambe le cose”. Un ripetizione di quanto già dichiarato, al G 7 di Capri dei primi di maggio, dal Segretario di Stato Blinken rivolgendosi alla Cina “Basta avere rapporti amichevoli con i Paesi europei e al tempo stesso sostenere militarmente Mosca”. Non solo un monito a Pechino ma, tanto per cambiare, anche l'ennesima dimostrazione che gli USA ritengono l'Europa soggetta al loro commissariamento politico-diplomatico.
Nell'accordo cino-russo, si citano anche i settori addestrativo ed operativo, prevedendo l'espansione “delle esercitazioni e dell'addestramento congiunto”. E questo vale anche e soprattutto per l'area indo-pacifica, visto che Pechino ha apertamente accusato gli Stati Uniti di violare l'equilibrio nucleare strategico, con il dispiegamento di missili nell'area asiatica e del Pacifico.
Questo significa che, molto probabilmente, pur se solo per attività addestrative ed esercitazioni, la presenza in questa regione di assetti russi è destinata ad aumentare, così come si sta incrementando la presenza militare europea, rendendo sempre più complessa e difficile una situazione già intrinsecamente tesa. E in questo senso l'Italia sta fornendo il suo contributo.
Infatti, nel silenzio generale dei Media nazionali, il 1 giugno la portaerei Cavour si è mossa verso il Pacifico, che raggiungerà attraversando il Mar Rosso.
La nostra maggiore unità navale è stata anticipata dal Pattugliatore Montecuccoli, che è salpato il 1 maggio, con la stessa destinazione, ma con rotta diversa, attraverso Panama. Questa unità di ultima generazione parteciperà a due Esercitazioni internazionali di grande rilevanza nell'Indo-pacifico, a cui in passato avevano aderito solo Francia e Germania.
Per quanto riguarda la Cavour, che sarà scortata dalla Fregata Alpino, da un'unità francese ed una spagnola, raggiungerà l'Australia e parteciperà ad un'importante esercitazione aereo-navale, con il concorso anche di un reparto di volo della nostra Aeronautica, con circa 25 aerei tra Eurofighter e F 35. Terminata questa attività, volgerà la prua verso il Giappone, ma durante la navigazione, che attraverserà il Mar della Cina, opererà con le Forze americane che incrociano in quell'area. Ed è proprio questa interazione con la Task Force USA che potrebbe non essere gradita alla Cina, che potrebbe interpretarla come un chiaro appoggio alla politica di Washington, a protezione di Taiwan.
Come spesso accade in Italia, sia il mondo politico che quello mediatico, superficialmente più inclini a discutere delle miserie interne, piuttosto che della ben più impegnativa politica estera, non si sono particolarmente interessati a questi avvenimenti. Tuttavia è lecito porsi la domanda se sia il caso di inviare nostre forze navali ed aeree dall'altra parte del mondo, in un'area sempre più problematica.
Ufficialmente, questa scelta trova la sua ragione nella volontà di partecipare a missioni di una certa entità, utili per testare la capacità operativa e per mostrare il valore della propria tecnologia. Tuttavia, pur se non apertamente dichiarato, questo impegno italiano nell'Indo-pacifico dimostra la nostra evidente determinazione di supportare l’alleato americano, in un teatro per lui fondamentale.
Ma come la prenderà Pechino? Questo dubbio potrebbe avere molto presto una risposta, visto che a luglio dovrebbe essere in programma una visita ufficiale della Premier Meloni proprio nella Capitale cinese.
Ma sussistono altre perplessità, che riguardano lo stato generale delle nostre Forze Armate, che faticano a mantenere gli standard previsti dalla NATO e potrebbero pagare caro un impegno cosi distante, intenso e prolungato. Oppure se sia il caso di privarci, per così tanto tempo, della nostra unità navale più importante, considerando l'attuale situazione che affligge il Mediterraneo, con la crisi medio-orientale, i problemi nel Mar Rosso ed i flussi migratori. Ma mentre Xi Jinping dirà presto alla Meloni ciò che pensa, per dare risposta agli ulteriori dubbi si dovranno attendere i prossimi accadimenti e allora potrebbe essere troppo tardi.