Il 17 aprile, un drone suicida lanciato da Hezbollah sul villaggio di Arab al-Aramasha, nel nord di Israele, ha colpito un edificio, definito genericamente centro comunitario dagli Israeliani in cui, in realtà, era dislocato un plotone di riservisti dell'Esercito. Il risultato ottenuto dal Movimento sciita è stato duplice, perché ha causato il ferimento di 13 soldati e, soprattutto, ha nuovamente “bucato” Iron Dome (Cupola di ferro), l'ormai leggendario sistema di difesa aereo di Tel Aviv. Ovviamente, si è innescata immediatamente dopo la reazione israeliana, che si è accontentata di colpire alcune infrastrutture in Libano.
Non è stato il primo attacco di Hezbollah ad Israele e non sarà di certo l'ultimo, tuttavia in questi 7 mesi di conflitto con Hamas, il gruppo sciita libanese non si è ingaggiato come ci si aspettava contro il suo atavico nemico. In fondo, con le migliori Forze dell'IDF – Israel Defence Force impegnate a sud nella Striscia di Gaza, si pensava fosse quasi ovvio un attacco da nord, proveniente dal confine del Libano. Invece, tanti proclami e minacce, ma nei fatti solo azioni limitate per numero ed intensità.
Tale atteggiamento conferma quanto valutato da molti analisti, per i quali Hezbollah non sarebbe poi così orientato ad un confronto diretto e su larga scala con Israele, perché questi è tanto odiato spiritualmente quanto temuto militarmente, perché per il Gruppo sciita é prioritario il mantenimento dei territori occupati nel tempo, tutti a ridosso del confine israelo-libanese. Molto probabilmente, solo un Iran in difficoltà indurrebbe Hezbollah ad intervenire, ma si è quasi sicuri che lo farebbe con estrema attenzione verso la propria sopravvivenza.
Visto che in precedenti articoli sono stati presentati gli altri attori della crisi medio-orientale, Hamas e Houthi, è giusto riservare la stessa attenzione ad Hezbollah, che non è un movimento solo militare e religioso, ma gioca anche un ruolo politico nel governo del Libano,
Hezbollah, che significa “Partito di Dio”, nacque a seguito dell'occupazione israeliana del Libano nel 1982 e dall'unione di più gruppi islamici sciiti, che si identificarono nei suoi 3 pilastri concettuali e religiosi:
- la fede nell’Islam e nei suoi insegnamenti, come base religiosa e ideologica;
- l'osservanza della dottrina Velayat e Faqih, teorizzata in quel periodo dall'ayatollah iraniano Khomeini, che identifica nella stessa persona le leadership politica e religiosa;
- la Jihad contro l’occupazione di Israele e contro il “Satana” (USA).
Il padre spirituale di Hezbollah viene considerato l’Imam Moussa Sadr, una figura molto carismatica il quale, tornato in Libano nel 1959, contribuì in maniera decisiva al risveglio della coscienza sciita e alla sua affermazione in una società multireligiosa come era quella libanese, ma in cui Cristiani marroniti e mussulmani sunniti detenevano il potere.
Tale emancipazione fu anche notevolmente favorita dall'appoggio della Siria, fortemente voluto dal suo Presidente Hafez al Assad (padre dell'attuale leader) il quale, probabilmente, non immaginava che il suo sostegno avrebbe in futuro favorito il figlio Bashar al Assad nell'attuale guerra civile siriana, visto l'appoggio anche militare di cui continua a godere da parte di Hezbollah.
Il tale contesto, negli anni '70 il “Partito di Dio” crebbe con l'anima religiosa iraniana, il supporto logistico siriano e l'addestramento militare dell'OLP, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina che, sotto la guida di Yasser Arafat, si era posizionata nel sud del Libano, dopo essere stata espulso dalla Giordania. Quest'ultimo, non fu un connubio felice, perché fu praticamente imposto dalla forzata convivenza territoriale dei due gruppi nella Valle della Bekaa (Sud Libano), ma consentì all'embrione di Hezbollah di acquisire una capacità operativa, soprattutto di impronta terroristica. E infatti, come spesso accade, l'allievo superò il maestro, perché il nascente gruppo terroristico fu il primo ad attuare la tattica dell'attacco suicida e, successivamente, ad utilizzare i rapimenti di occidentali come forma di autofinanziamento. Hezbollah fu l'autore dei sanguinosissimi attacchi kamikaze del 1983 ai Contingenti americano (251 morti) e francese (58 morti) a Beirut e di numerosi attentati in Europa.
Contestualmente al braccio armato, il Gruppo sviluppò anche l'ala politica, che trovò il suo impulso definitivo sotto la leadership di Hassa Nasrallah, che portò il Partito alla candidatura nelle elezioni politiche libanesi, alla permanente presenza in Parlamento e alla conquista della maggioranza di governo.
Hezbollah, da organizzazione terroristica assunse la configurazione di partito politico dotato di una propria milizia militare, armata ed equipaggiata dall'Iran. Il suo programma si è sempre basato sull'assistenza sociale, con particolari attenzioni per il settore sanitario, il sistema educativo e quello infrastrutturale, evidenziando una maggiore efficienza rispetto agli omologhi programmi governativi. Il gruppo si dotò anche di una propria emittente televisiva, che utilizza tuttora a favore della comunità sciita, soprattutto per la propaganda contro Israele ed anti-occidentale.
Anno dopo anno, il “Partito di Dio” si è affermato come influente ed attivo attore dell'area medio-orientale, in grado di sostenere nel 2006 anche un aspro e prolungato scontro militare con Israele, uscendone se non vincitore perlomeno invitto, visto che le forze di Tel Aviv, nonostante la loro palese superiorità, non riuscirono ad attuare il loro intento di distruggere l'Organizzazione, che si confermò così una fedele alleata dell'Iran ed un inequivocabile riferimento per tutto il mondo sciita.
Per questo motivo, immediatamente dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, Hezbollah si è schierato apertamente a favore del Gruppo palestinese, prima portando a ridosso del confine con Israele le sue formazioni ed i suoi armamenti, costituiti essenzialmente da razzi e droni, in gran parte forniti dall'Iran. Poi ha avviato una fase conflittuale con Israele la quale, tuttavia, si è costantemente mantenuta su un piano di bassa intensità, con reciproci attacchi localizzati e limitati. Atteggiamento molto probabilmente mantenuto tale per volere di entrambe le parti, consce che un innalzamento del livello di scontro, per non parlare di una guerra, costituirebbe un grave problema sia per i due contendenti che per la situazione generale dell'area.
E nemmeno alcune azioni un po' più decise e significative da parte di Israele hanno determinato quell'escalation che molti si aspettavano e, tuttora attendono. Infatti, gli attacchi con droni su Beirut del gennaio scorso, che hanno causato la morte di un paio di importanti leader di Hamas, hanno determinato un innalzamento dei toni di minaccia da parte di Hezbollah, ma non un conseguente inasprimento della sua azione militare, dimostrando ancora la prevalenza dell'ala politica, che proclama sempre come nemico viscerale Israele, ma non a tal punto di rischiare di compromettere la sopravvivenza del Partito ed il suo ruolo di governo in Libano.
Inoltre, la Comunità Internazionale, soprattutto per bocca francese e americana, si sta impegnando a fondo affinché il fronte israelo-libanese non deflagri. Il Ministro degli Esteri di Parigi ha presentato, a febbraio, una proposta alla milizia sciita per un arretramento dei suoi assetti a 10 km dal confine, un limite ben inferiore ai 30 km previsti dalla Risoluzione ONU che ha imposto la fine della guerra del 2006. Contestualmente, Israele ha inviato a marzo un ultimatum ad Hezbollah per realizzare la proposta francese, ma la risposta del “Partito di Dio” è stata sempre quella di condizionare ogni suo atto di buona volontà alla fine dei combattimenti della Striscia di Gaza.
Sinora, le scaramucce tra le due parti sembra abbiano provocato la morte di circa 200 combattenti sciiti e di una decina di soldati israeliani, ma anche l'inibizione di un'ampia fascia territoriale a cavallo del confine. Un danno questo che penalizza maggiormente Israele, perché mentre il “Popolo di Dio” è abbastanza assuefatto a tale tipo di disagio, non vale la stessa cosa per le decine di migliaia di Israeliani, che hanno dovuto abbandonare un'area normalmente produttiva.
Quest'ultimo effetto danneggia maggiormente Tel Aviv, che non può permettersi di prolungare a tempo indeterminato tale situazione, per motivazioni di politica interna, con il governo di Netanyahu sempre più in difficoltà, per motivazioni di carattere sociale, perché l'Israeliano non sopporta la condizione di profugo e per motivazioni di carattere economico, perché tali aree produttive sono interdette.
Hezbollah sembra aver ben compreso tutto questo e preso coscienza che questa sorta di “guerra di logoramento” lo sta decisamente favorendo, come più volte affermato dal suo leader Nasrallah.
Anche Israele lo sa e potrebbe cercare di cambiare le carte in tavola, ma sa anche che, al momento, l'unica carta di cui sembra disporre la deve estrarre dal mazzo di un deciso innalzamento del livello conflittuale, che dovrebbe portare le sue Forze ad attaccare in profondità il dispositivo del “Partito di Dio”, valicando il confine con il Libano e mettendosi, di fatto, nella condizione di aggressore di uno Stato Sovrano.
Una situazione assolutamente pessima, perché attirerebbe l'inevitabile condanna della Comunità Internazionale, causerebbe un ulteriore peggioramento dei suoi rapporti già difficili con il nervoso sponsor americano, comporterebbe il rischio di un maggiore coinvolgimento degli alleati sciiti (Iran in testa) e sottoporrebbe le IDV ad un impegno operativo di alto profilo, perché il Libano, per quanto oggettivamente più debole, non è Hamas. Questo è cosi vero da indurre al ruggito un esponente del governo libanese che, recentemente, ha affermato che l'eventuale invasione, anche parziale, del Libano da parte di Israele non sarebbe per lui una passeggiata. E se anche un libanese si esprime in questa maniera, significa che la situazione per Tel Aviv è veramente difficile.