Nel 2014, praticamente all'inizio del suo Pontificato, Papa Francesco elaborò il concetto di “Terza guerra mondiale a pezzi”, facendo riferimento ai tanti conflitti, più o meno locali, che affliggevano il mondo in quel periodo. Tuttavia, il Papa non si limitò ad una mera constatazione oggettiva di quanto stava accadendo, ma approfondì la sua riflessione, arrivando a definire due aspetti che sembrano contraddistinguere il momento storico che stiamo vivendo. Il primo riguarda la conflittualità, che pur avendo da sempre caratterizzato il genere umano, sembra che ormai non riesca a trovare altra soluzione che non sia lo scontro. Il secondo aspetto è l'instabilità, che pur se dovuta a motivazioni molteplici e diverse, a seconda delle situazioni, deborda sempre nella generazione del caos.
Questo asserto lo ha recentemente evoluto lo stesso Papa Francesco, in occasione del tradizionale incontro con le 184 Rappresentanze diplomatiche presso il Vaticano, affermando “Il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito terza guerra mondiale a pezzi in un vero e proprio conflitto globale”.
Quali sono i motivi che hanno indotto il Santo Padre ad una visione così pessimistica del futuro prossimo del mondo?
Dato per scontato che la storia dell'Umanità è stata da sempre contrassegnata dalla presenza di molteplici situazione di conflitto, tuttavia la situazione attuale sta assumendo progressivamente una gravità sempre maggiore, perché quelle che in passato erano aree di crisi localizzate e sostanzialmente circoscritte da interessi limitati, anche se non ufficialmente e direttamente, si stanno sempre più collegando alle due maggiori conflittualità, Russia-Ucraina e Israele-Palestina.
Ciò sta avvenendo perché i protagonisti sulla scena internazionale non si limitano più ai soli Stati e alle Organizzazioni Internazionali, ma ormai coinvolgono anche movimenti ideologico-militari, come ad esempio gli Houti, in grado di influenzare fortemente la situazione non solo a livello regionale, ma in aree sempre più estese e a danno di interessi sempre più globali.
Tuttavia, la principale ragione che, se reale, potrebbe rivelarsi anche la più rischiosa, sembrerebbe essere quella che il mondo si stia dividendo in due parti sempre più contrapposte. A grandi linee, queste due fazioni sono costituite dall'Occidente, con inequivocabilmente a capo gli Stati Uniti e dal resto del Pianeta, sostanzialmente coincidente con l'area comunemente indicata come orientale. Si può dire che questa parte non abbia ancora identificato una Nazione leader – e non è detto che in futuro possa e voglia definirla – ma piuttosto sembra identificarsi nel volere comune di affrancarsi da quella che viene considerata un'egemonia americana ormai in declino e, soprattutto, non più sopportata.
In questo senso, è molto significativa l'evoluzione e l'espansione che sta caratterizzando il BRICS, un acronimo forse non ancora conosciuto da tutti, ma che dovrebbe diventare invece patrimonio di generale conoscenza al pari del G8 perché, molto probabilmente, è destinato a giocare un ruolo fondamentale nel futuro del mondo.
E' difficile definire il BRICS, perché è nato come Organizzazione Intergovernativa e il suo acronimo fu coniato nel 2001 da un “esterno”, cioè dall'economista Jim O'Neil della Goldman Sachs, il quale volle identificare le economie in rapida espansione che, a suo parere, avrebbero dominato l'economia globale entro il 2050. Si riferiva a Brasile, Russia, India e Cina, BRIC, a cui venne successivamente aggiunta la S, con l'associazione del Sud Africa nel 2010.
Tutte Nazioni caratterizzate da un crescente sviluppo economico, da un PIL – Prodotto Interno Lordo costantemente in forte ascesa, dalla disponibilità di abbondanti risorse naturali e, aggiungo io, senza problemi democrafici (aspetto a mio parere non da poco). Paesi sempre più presenti e forti sul mercato mondiale e decisi a costruire un sistema commerciale e finanziario basato su accordi bilaterali, che non prevedono l'uso del Dollaro, anche a costo di lanciare una nuova moneta condivisa.
Questo intendimento di “de-dollarizzazione” dell'economia mondiale costituisce un pericoloso problema per gli Stati Uniti, ancor di più perché creato dalle più forti Economie emergenti e ancora di più perché il BRICS si sta rapidamente espandendo. Attualmente, i Paesi membri sono 9, ma altri 18 sono in attesa di entrare e, guarda caso, la Francia, nota per considerare prioritari i propri interessi nazionali, rispetto a quelli delle Organizzazioni a cui aderisce (UE e NATO in primis), ha cercato di “imbucarsi” come osservatore al meeting BRICS del 2023 e, recentemente, non ha escluso una sua richiesta di adesione.
In tale contesto, si pongono le conflittualità attualmente in atto nel mondo che non costituiscono di certo un aspetto a se stante, perchè da quando l'umanità ha cominciato a respirare, la spada ha sempre costituito uno degli strumenti fondamentali per l'espansione e la difesa degli interessi economici.
Consideriamo i due conflitti più grandi e preoccupanti.
Nella guerra tra Ucraina e Russia è ben noto chi supporta la prima. Da NATO e Unione Europea e dalle Nazioni aderenti a queste due organizzazioni arrivano i principali aiuti militari ed economici al governo di Zelensky. Quindi si può affermare che l'Occidente è palesemente schierato.
Dall'altra parte, la Russia è sostenuta da molti Paesi, direttamente con forniture militari (FM) e indirettamente con relazioni economiche, industriali e commerciali (REIC). I maggiori sostenitori di Putin sono con FM Iran e Nord Corea, mentre attraverso REIC Cina, India, Brasile, Sud Africa, Etiopia, Emirati Arabi e Arabia Saudita. Tutte Nazioni appartenenti al BRICS, a parte l'ultima che, però, potrebbe entrarci molto presto.
Anche in questo caso, il BRICS (già allargato ed in espansione) è anch'esso palesemente schierato.
E dopo poco più di due anni di guerra, le prime valutazioni che si possono fare sono tanto sostanziali quanto preoccupanti, in particolare per la nostra parte di mondo.
La prima é prettamente militare. La Russia non sta patendo particolari sofferenze di disponibilità di armamenti e munizioni, mentre l'Occidente sta annaspando con le proprie capacità produttive, sottodimensionate per poter rifornire adeguatamente l'Ucraina e garantire le proprie esigenze.
La seconda è di carattere economico. Quel default della Russia a causa delle sanzioni, trionfalmente annunciato dai principali Capi di governo occidentali (compreso il nostro Draghi) nel 2022, si è poi rivelato un solenne bluff di cui, peraltro, nessuno è stato chiamato a risponderne. La realtà dei fatti è stata ben diversa, perché Mosca ha subito una contrazione del 2,1% del suo PIL nel 2022, ma non ha faticato troppo a riorganizzarsi e a conseguire una crescita di +3,6% nel 2023, superando quella americana (+2,5%) e surclassando quella dell'Eurozona (+0,5%).
Nel conflitto tra Israele e Hamas le considerazioni che si possono al momento fare riguardano maggiormente gli aspetti militari, perché in questo scenario si evidenziano maggiormente gli schieramenti, sia statuali che non, a favore delle due parti. Israele è stato sinora sostenuto soprattutto dagli Stati Uniti, ma la violenza con cui sta conducendo le operazioni nella Striscia di Gaza, sta riuscendo a mettere in crisi anche questo rapporto, che sembrava essere inossidabile, per i profondi legami storici ed economici tra i due Paesi.
Dall'altra parte, la causa di Hamas e quella del popolo palestinese, giustamente, non sono state considerate coincidenti dalla maggior parte dei Paesi “che contano”, anche quelli appartenenti all'area orientale del mondo. Tuttavia, dopo la condanna decisa dell'attacco terroristico del 7 ottobre, le modalità operative, adottate dagli Israeliani nella loro ritorsione, hanno determinato una presa di posizione avversa a Tel Aviv della maggior parte dei Paesi del BRICS. Sinora, tutto si è mantenuto sul piano delle votazioni di condanna e nelle risoluzioni in ambito ONU, senza coinvolgimenti diretti, a meno di aiuti umanitari alla popolazione palestinese.
Unica eccezione è stato l'Iran, accusato sin dal primo momento da Israele di un coinvolgimento diretto nella preparazione dell'attacco di Hamas. Teheran ha sempre respinto le accuse, ma non si può negare il suo coinvolgimento attraverso gli Houti ed Hezbollah, i due movimenti politico-militari che godono del sostegno iraniano e che sono intervenuti direttamente e pesantemente nella guerra. Potrebbe essere solo un assaggio di un ulteriore allargamento del conflitto, perché l'attacco israeliano al Consolato dell'Iran a Damasco di qualche giorno fa, in cui sono stati uccise 15 persone, tra cui un alto Comandante dei Pasdaran, difficilmente non provocherà una reazione di forza da parte iraniana.
E qualora così fosse, il domino della conflittualità sanguinosa farà cadere altre sue tessere, continuando la sua corsa verso il peggio e, purtroppo, dando sempre più ragione a Papa Francesco.