Si accendono le luci dello spettacolo dell'Ariston per l'inizio dell'attesa manifestazione canora. Come ogni anno ritorna quindi un evento dai mille significati e dai mille volti, che non rappresenta solo la lettura nazionalpopolare della società italiana, ma va oltre il suo significato artistico per configurarsi come una kermesse dal carattere universale e karmiko, capace di inventare e inviare un messaggio che supera i confini del Bel Paese e raggiunge gli angoli più impensati del globo.
Da "Grazie dei fiori" a "Brividi", assistiamo all'evoluzione di un avvenimento mediatico impareggiabile, infinito, magari non pienamente compreso, che a suo modo è specchio del teatro della vita.
Sanremo e il suo Festival e il mondo che ruota intorno da Ventimiglia a Cervo e oltre, anche nell' infittirsi di crisi epocali che rischiano di trascinarci verso conflitti pericolosi e senza ritorno, rappresentano comunque un punto di riferimento tutt'altro che banale, una fiamma che si accende nel buio di una deriva storica gravida di minacce.
Il febbraio della Riviera tuttavia è di per sé un annuncio di primavera, ma non deve rimanere tale. In questo senso Sanremo e la Riviera sono tutto sommato una risorsa non sufficientemente sfruttata. Le giornate spensierate della gara di cantanti, parolieri, gente di spettacolo, critici e osservatori neutrali e non, secondo un ricorrente gioco delle parti, non privo di irruzioni nella politica e nel costume, suscitano sempre un'attenzione che riesce a mettere a margine anche le preoccupazioni più serie.
Il problema è che si tratta di un momento effimero. E ciò non basta in questa stagione di drammi e rinnovate congiunture. Nei drammi, è vero, siamo solo degli attori, a cui la sorte ci assegna un ruolo, non sempre principale, e nemmeno duraturo. Non così si chiede a Sanremo e a tutta questa provincia in cerca d'autore, che si adagia supinamente su questo evento.
Sanremo e la Riviera provano in proposito ad interpretare un ruolo particolare e lo fanno da tempo, spesso senza grande convinzione. Dopo la guerra la provincia di Imperia sembrava relegata ad essere figura di comprimario, come ereditato dalla perdita di Nizza e dagli ulteriori tagli dovuti al trattato del 1947.
Ma diede a questa terra di confine, alla ricerca ancora oggi confusa e frenetica di sé stessa (e non di rado collocata tra le meno premiate nelle classifiche nazionali), un compito che, tra luci e ombre, non è riuscito ancora a portare a termine la missione affidata in vista di una sua compiuta emancipazione per non restare figlia di un dio minore.
La provincia di Imperia non può, infatti, continuare a svolgere una parte sbiadita ed essere soggetto di un destino imperscrutabile. Sanremo, Imperia, la Riviera, il loro mare, il loro entroterra, il loro patrimonio di tradizioni, di storia e di mito, meritano altro.
Imperativo è per questa provincia, peraltro a cent'anni dalla sua istituzione, diventare il microcosmo del macrocosmo che vorrebbe diventare. E non limitarsi dunque solo alla cura delle canzoni e del clima, sonnecchiando, e vivendo alla giornata, con il rischio di svegliarsi in ritardo e solo in qualche sporadica occasione.