Luigi Ardoino, presidente dell’Imperia Rugby, profondo conoscitore di questo sport a 360 gradi con i suoi 28 anni di militanza che lo hanno portato a giocare fino alla Serie C con passione e spirito di dedizione nei confronti del rugby che ad oggi rimangono immutati.
Presidente, ci introduce un po’ quello che rappresenta per lei il rugby?
“Non mi piace fare paragoni con gli altri sport. Ogni sport è vitale. Ogni sport fa bene alla salute ed è importante da praticare perché ti lascia dentro degli insegnamenti. Però lasciatemi dire che se sono da 28 anni in questo mondo è per pura passione e perché poi col tempo il rugby diventa parte di te, parte della tua quotidianità e parte della tua vita. Se ci giochi per così tanti anni, resisti alle mischie, ai contrasti, alla pioggia, al campo bagnato, lo fai perché sei mosso da uno spirito di dedizione nei confronti del rugby”.
Si dice che il rugby sia uno sport per i più strutturati fisicamente, lei che idea si è fatto in proposito?
“Noi da anni abbiamo avviato un progetto che tende a valorizzare ogni bambino o ragazzino in base alle proprie caratteristiche fisiche. Non ci deve essere mai un più bravo. Non è detto che per giocare a rugby si debba essere per forza piazzati e strutturati anche perché nell’età dello sviluppo ogni ragazzino è soggetto a cambiamenti. Se sei veloce corri, se sei forte difendi, se sei bravo coi piedi calci. Per questo tendiamo a dire che il rugby è uno sport dove ognuno può avere un suo ruolo e c’è veramente posto per tutti”.
‘Terzo tempo’ nel rugby come metodo e mezzo di socializzazione fra i ragazzi.
“La bellezza del rugby sta anche nel terzo tempo, dove si tende a legare con i propri compagni di squadra ma anche con gli avversari. Nonostante parliamo di uno sport fisico, ciò che accade in campo rimane in campo e non ci sono strascichi polemici. Poi fuori si è tutti amici e, delle volte, nel dopopartita si va a mangiare qualcosa insieme. A distanza di anni i legami tra ex compagni di squadra sono ancora forti, spesso ragazzi più grandi che hanno giocato nella stessa squadra si incontrano da avversari e l’amicizia perdura nel tempo”.
Il fatto che il rugby sia uno sport di contatto potrebbe far desistere i genitori dal farlo praticare ai propri figli?
“Il rugby è sì uno sport di contatto, ma che non lascia nulla al caso. A parte che c’è tutto un protocollo e una rigida applicazione delle regole per cui i ragazzini imparano già come difendersi e attaccare in sicurezza, mettendo le mani per aprirsi la strada senza però farsi del male o farlo all’avversario. Anche l’arbitro è sempre attento e vigile che nessuno si faccia male. È anche uno sport di squadra e i nostri tecnici insegnano che non ci deve essere 'egoismo' nel tenere il pallone per sé ma occorre metterlo a disposizione della squadra per raggiungere un obiettivo comune”.
L’importante è divertirsi. Agonismo sì, ma con criterio e non per tutte le fasce d’età.
“Abbiamo istituito un torneo dove ogni squadra mette a disposizione un paio di giocatori al fine di formare una nuova squadra composta da giocatori provenienti dai vari team. Questo con lo scopo di formare una squadra 'arcobaleno' che porti i colori di tutte le società partecipanti ai vari tornei fra ragazzini. Per le fasce più giovani abbiamo deciso in alcuni casi di non assegnare la vittoria o la sconfitta affinché si possa giocare soltanto per il piacere di giocare e senza l’assillo del risultato e del punteggio in classifica”.
Il rugby entra nelle scuole. Ci spieghi meglio come?
“Abbiamo messo in cantiere di portare questo sport negli istituti scolastici. Cerchiamo anche di dare dei crediti formativi ai ragazzi degli istituti superiori. A fine percorso vengono anche rilasciati degli attestati ai partecipanti alle nostre attività. Ritengo che questo li possa fare avvicinare al nostro mondo anche per il futuro”.