Non ero al lavoro ieri quando è arrivata la notizia.
Ero a Imperia a dare una mano a papà su alcune cose, in un giorno di riposo. Lo ho chiamato io per avvisarlo. Sulle prime si è impuntato per portare avanti gli impegni che aveva, dopo meno di mezz’ora ha annullato tutto per dare finalmente spazio alla commozione e alla riflessione. Non sempre lo dà a vedere, ma ha una dimensione interiore assai profonda. E quella è la sua di storia.
Per quanto riguarda me, ho pensato che fosse il karma: sono più contenta di aver vissuto quella giornata nel mio ruolo di figlia piuttosto che di dipendente del gruppo da 19 anni (14 a Panorama, 5 a Mediaset).
I miei ricordi con Berlusconi, in effetti, sono quasi tutti legati a mio padre: è capitato che io fossi presente (muta) ad incontri serissimi, su temi specifici, ma a me stregava la sua dimensione umana, giocosa, paterna. Empatia e disintermediazione. Come quando seppe che mi ero appena laureata e andò a cercare il regalo che gli sembrasse più adatto per me, motivandolo. O quando mi prese in giro perché non capivo i testi delle canzoni napoletane e mi lancio’ un cuscino in faccia. Non te lo aspetti, no?
Una sola volta lo incontrai da sola. Avevo 27 anni ed ero a Tripoli per intervistare Saif Gheddafi, quello che allora, pochi mesi prima dello scoppio della primavera araba, sembrava destinato a succedere al padre. Tramite una sua ex fiamma, mia buona conoscente, avevo atteso per un anno di essere convocata, ma l’invito arrivò a sorpresa, la sera per la mattina, e fu fatto coincidere con un grande evento che l’Italia aveva organizzato là.
Me ne stavo tremebonda sul balconcino dell’hotel Corinthia a tradurre le domande, in attesa della chiamata dello staff di Seif, quando ricevetti un’altra inattesa telefonata: scoprii che Silvio Berlusconi era là, sapeva di me e domandava se avessi bisogno di aiuto. Lo vidi finita l’intervista. Ancora una volta fu la sua dimensione umana e paterna a colpirmi.