"Fu una protesta forte e coraggiosa sostenuta e guidata da capaci amministratori comunali e da alcuni esponenti politici della zona. Sessanta anni fa la popolazione di Badalucco ha scritto una delle pagine più belle della propria storia".
Inizia così una riflessione di Antonio Panizzi e di Franco Bianchi, professori di Badalucco e persone molto conosciute in valle Argentina e più in generale in provincia di Imperia. La questione è quella della diga e di quanto accadde nel 1963, quando grazie ad una vera e propria rivolta popolare partita dalla comunità badalucchese si arrivò a bloccare i lavori, già iniziati, dell'invaso di Glori.
In questi giorni abbiamo trattato l'argomento tornato d'attualità di fronte alla decisione del MIT di assegnare dei fondi per la progettazione di una nuova diga nel torrente Argentina (QUI). Una decisione che ha scosso gli animi della comunità badalucchese dove il ricordo della protesta di 60 anni fa non è sbiadito, anzi.
"È una questione legata alla sicurezza - ci spiegano Panizzi e Bianchi - ma anche alla fragilità del territorio. La protesta popolare ha trovato certamente nel disastro della diga del Vajont un precedente quanto mai preoccupante ma va aggiunto che il territorio dove si doveva edificare la diga è risultato del tutto pericoloso e come attestato da vari geologi, franoso, inappropriato e ad elevato rischio sismico".
Nel 1963, il progetto prevedeva una diga alta 80 metri e con una portata d’acqua di circa 20 milioni di metri cubi. In epoca più recente, nel 2014, si diffuse la voce di un progetto ridimensionato, circa 30 metri d'altezza. Cambiano le dimensioni ma non la preoccupazione della comunità di fronte alle montagne del nostro entroterra che spesso franano come ci hanno insegnato piogge e alluvione degli ultimi anni.
"È proprio così. È sufficiente percorrere la Valle - commentano Panizzi e Bianchi - per accorgersi delle numerose e periodiche frane che colpiscono tutto il nostro territorio. Quindi in valle Argentina non può esistere alcun luogo adatto alla costruzione di una diga".
L'intervento, secondo quanto riportato dal MIT, è stato giustificato come necessario per fronteggiare la siccità e l'emergenza idrica, legate ai cambiamenti climatici. "Si crede che la popolazione di allora non abbia valutato il progetto? Lo ha fatto - rispondono - e consapevolmente ha ritenuto che fosse pericoloso e del tutto inopportuno. La siccità può essere un problema ma questo non si risolve mettendo a rischio un intero paese e una notevole parte di Montalto; si può, ad esempio, migliorare la funzionalità delle tubature, assicurare la protezione delle fonti, rendere meno dispersiva la rete idrica ecc...".
Il nuovo scenario climatico non può essere un motivo a favore della costruzione della diga. Nel 2020, Badalucco è stato colpito da una delle più violente alluvioni del secolo: “I danni provocati - concludono Panizzi e Bianchi - la paura che tutti abbiamo avuto, restano nella nostra memoria. Ora ci chiediamo: vi immaginate come avremmo vissuto quell’alluvione, fatta di tempesta e di bombe d’acqua che sono le più evidenti conseguenze del cosiddetto cambiamento climatico, sapendo che sopra le nostre teste vi era una diga di 80 o di 50 o di 30 metri?"